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Lo vedi? Già l’ombra del ciliegio

s’è presa mezzo prato

radici d’erba grassa perforano la ghiaia.

Certo, le cose così devono andare

tristezza a questi anni

è di poco conto, ascolta:

io colmo la chirurgica attesa ad ogni ora

lubrifico il mio canto rubando all’usignolo

e amico ho il corrimano,

se il cuore poi mi eccede

Ma odore della donna, miei cari

quello è Dio, la pelle della vita

che lavi, e non vien via.

Mi chiedo cosa sia la malinconia dei vecchi

adesso che dovrei d’accasarmi fare arte.

Trovare le radici e succhiarne ciò che resta.

Ma io m’accorgo, un po’ a malincuore

a dire il vero,

di non avere posti con sopra inciso un nome.

La grazia del creato sta tutta in questa mano

e ciò che alcuni chiamano patria, o la natìa

per me ha il servizio lungo dell’onda ai continenti.

Così, io pesce muto, mi faccio spesso moto di vento

sono altrove, per chiunque abbia creanza di chiederlo.

E va bene.

Galleggia come foglia sull’acqua la mia essenza

basta niente, ed oggi sono qui, domani là.

Hai fatto sbornia di suoni, di rumori

di foto in bianco e nero e filmati amatoriali.

Hai fatto che chiamare costava una fortuna:

auguri per Natale, poi un anno in semi oblio.

Hai fatto che degli orti non ti importava nulla

e adesso guardi sempre le foglie, i pomodori

e palpi le ciliegie come dei seni madre.

È notte e le lancette fosforescenti al buio

ti dicono che è presto, ma a me sembra domani

e non hai più del tempo da perdere in sciocchezze

coi pelandroni a sera in un Bar, fuori di casa.

Adesso tu la prendi per mano, e hai sedicianni

di nuovo, perché allora

pareva magra quasi spavento; ma era festa

soltanto nel vederla lontana. E tu eri scemo

con quella barba a chiazze a mimare Che Guevara.

Sapevi quasi niente del mondo, ma era bello

sentirsi nelle gambe un po’ di rivoluzione.

Ancora lo vuoi forte cambiare tutto quanto

ma fuori mette freddo, e nebbia in Val Padana;

per le ginocchia l’umido corre, il fiato è breve.

Ma forse è solo un’altra tua scusa: tutto bene

a parte qualche complicazione, andiamo avanti.

Gentili autori, lettori, amici. Sono lieto di annunciare l’ uscita del mio volume “Libera” per la Genesi editrice di Torino.

Avviene dopo 11 anni dalla precedente raccolta, molta storia nel mezzo e una ritrovata fiducia nel supporto cartaceo come divulgazione di ciò che definisco “narrare in versi”.

Questo lavoro è il mio grazie alla vita, alle persone che l’hanno attraversata ed arricchita. Probabilmente sarà l’ultimo nel suo genere, perché ritengo rappresenti l’apice stilistico di ciò che posso e voglio esprimere, per questo è così corposo e diviso in sezioni distinte. Pensatelo come una sorta di viaggio, il racconto di un uomo nelle sue tappe fondamentali: l’infanzia, l’adolescenza, la maturità, la scoperta dell’amore, della bellezza, della ricchezza artistica, ambientale.

Ma anche la consapevolezza, infine, della malattia e della morte.

Siamo in presenza di un volume corposo, circa 300 pagine. Non voglio chiamarlo testamento letterario, ma sicuramente è un documento che meglio di altri riassume l’avventura e la passione del mio scrivere.

Per una più dettagliata rimando alla minuziosa e sontuosa introduzione dell’editore Sandro Gros Pietro, che ringrazio ancora per l’opportunità e la generosità con cui ha affrontato questa lettura estremamente variegata.

Di seguito il link:

Libera – Massimo Botturi – Genesi Editrice – Libro Genesi.org

Ringrazio sin da ora anche chi vorrà approfondire, conoscere, suggerire, criticare, o semplicemente, sorvolare.

LIBERA

QUESTIONE DI CLASSI

Quando il contabile produsse il mio cognome

feci due passi di troppo, e mi scusai.

Certe distanze le dava l’istruzione:

lui coi polsini bianchi stirati era il padrone

noialtri poca carne e nozioni

un po’ piegati, da lunghe a tutte uguali

giornate ai macchinari.

Taluni ci provavano a sera, occhi sfondati

la lingua da una parte, fatica a stare svegli.

Centocinquanta ore era il motto da onorare

dialetto niente e tanto rigore. A casa mia

i libri della scuola eran fatti di bambagia

mia madre li toccava coi guanti, e non capivo

perché di notte a volte piangesse, silenziosa.

Mio padre fece in tempo a imparare a far di conto

la somma dei negozi su carta per il pane

le formazioni tutte a memoria, di San Siro.

Per questo dico – studia, ne va di libertà,

la dignità è nel mento ben dritto, e non rubare

ma questo lo sappiamo da sempre

noi baluba.

FACCIAMO CHE

Facciamo un bel bambino,

noi che ne siam capaci.

Di tutto questo bel dondolare,

prima un fuoco,

il coraggio al lavorante, i graffi sulla luna.

Facciamo che domani sia lui a portarci un fiore

a metterci il cucchiaio nella bocca più capace.

E che si perda nel mondo, e si innamori

che porti un po’ di noi nel suo sangue

e mai non debba, mirare alla casacca di un altro;

che sia pace, questo bel nascere ancora.

Noi morremo, così:

si passa poco nel cielo e sulla terra

ce l’hanno detto sempre, ma adesso

divertiamo, facciamo un bel bambino

restiamo un po’ sul prato.