Negli anni del ritorno
io non dicevo niente.
Guardavo l’uomo arrendersi al piatto
al male in cuore;
minestra riscaldata per cena, mezzo litro
due mocci già fumati di sigaretta in tazza.
Negli anni del ritorno le strade erano strette
e l’ultimo lampione bruciato
ombra in poppa.
Orari d’impossibile impegno a stare svegli
soltanto per trovare il rumore delle scarpe
sopra le scale quando più niente fa rumore
e in giro resta solo il furgone del carbone
un chierichetto pazzo d’incenso
un prete vecchio, che benedice il fatto
che vivano le case.
Negli anni del ritorno la luna era di vetro,
spaccava negli estremi se non ci stavi attento,
e l’aria si appoggiava sull’erba col pensiero
così che la mattina sembrava nevicato
col quel silenzio strano e migliore che oggi manca.
Con quel silenzio tutto lavato di sospiri
di inguini toccati ed accesi.
Ed ogni amore,
tornava alla crisalide, al giorno del creato
al primo tempo dentro in un Cine
al primo uccello
veduto sopra il legno dell’asse da lavare.
Negli anni del ritorno chiamavo Anna piano;
lei sulla porta usciva
con qualche cosa in mano
a volte un tozzo bianco di pane
altre un presagio
uno sciame di bellezza futura
un chicco d’uva.
Negli anni del ritorno la salutai per prima,
e poi le piante gonfie da frutto,
gli orti
i cani
la rete che chiudeva il campetto all’oratorio.
La salutai per prima
ed ancora ho mano alzata,
ora ch’è grande e mostra i suoi seni
ora ch’è sposa, e madre di ventura
e sorella di qualcuno.
Ancora la saluto
come si fa alla vita,
a questa malinconica voglia di scappare
per solamente dire
– ritorno
e sono gli anni.