Non darmi i mandarini del campo di tuo zio
ma i melograni piccoli al petto;
fai che strilli
e che mi gratti il collo con zampa di animale
di lupo sparpagliato sui monti.
Dammi l’aria
che vada a ritrovarla tra una suzione e un bacio
il debito di vita che muove mani e piedi
la punta di diamante per la mia lingua in vetro.
Regalami strutture molecolari, e latte
la goccia che ti esprime il piacere, l’acqua santa
che viene dal sudore quando ti amo e imparo
e premo il peso d’uomo siffatto dove inizi
tra l’ombelico e storia di Eva, dove è buio.
Tu dammi l’orchidea ch’è dispetto di natura
la metterò nel limbo d’attesa, nel silenzio
che prima dell’esplodere in cielo ha nome lampo.
Tu dammela in quaranta puntate, o tutta intera
io fingerò ignorarne l’epilogo, il finale
quel brutto saporaccio di miele ed erba salvia
che tanto mi ricorda le porte dell’inferno.
Non darmi i mandarini del campo di tuo zio
ma i cherubini in stato di guerra, apocalissi
due gambe larghe come piovesse
universali.
Archive for febbraio 2016
IL DILUVIO
Posted in poesia on febbraio 29, 2016| 10 Comments »
QUI DENTRO
Posted in poesia on febbraio 26, 2016| 18 Comments »
Nella saliva ho le particelle vive
si chiamano parole
e s’azzuffano, impennate
se sentono gli uccelli al mattino.
È nella bocca
che tutto il mio mistero fiorisce
e lì si inganna, diventa grande adatto al lavoro
a perder tempo;
diventa una brughiera di un campanile solo
e quattro cani al passo di nebbia.
È nel mio cuore
che tengo tutte quante le chiavi
un po’ confuse, da tre mandate o un semplice tocco.
Se mi ami
si apre la gabbietta e ti faccio previsioni
tifo la squadra delle farfalle
canto in coro
e annuncio allo spezzare del pane il giorno nuovo.
È dentro il cuore
che dorme il mio ragazzo migliore, il più educato
veloce a metter mano alla gonna se lo chiami
o a fare solamente carezze sul costato.
Qui dentro c’è un cavallo veloce
un gufo e un cervo;
un militare fa diserzione
e spiega alta, la sua bandiera rossa dei liberi
sorride.
BALLATA PER L’UOMO ORDINARIO
Posted in poesia on febbraio 23, 2016| 22 Comments »
Il mio amore è adolescente e monello
è un turno primo
una fabbrica di neon che ti ronzano vicini.
L’amore che ti faccio è un puledro di Castiglia
un ricciolo ribelle sul pube, un calendario
per le tue annotazioni banali, e per le sere
che preferisci uscire e cenare con le mani.
L’amore mio è modesto e ricchissimo
è noioso, è come certi peli del naso
dispettosi; come le caramelle lasciate senza carta.
E’ facile incontrarlo davanti a vecchi Cine
alle cinque di mattina insieme ai sacrestani.
E’ debole di stomaco e reni, testa grossa.
L’amore mio si scotta col sole di febbraio
riluce nel setaccio delle tue dita lunghe
delle tue dita merli di coppo, dita belle.
L’amore mio ci lascia le penne se tu svieni
se non mi guardi venti o trent’anni
è una sciocchezza
di quelle che poi crolla un palazzo se la eludi.
L’amore mio sa niente del mare, o dove vivi
sa niente dei pontili robusti, dei marosi
dei muli di montagna e dei cervi.
E’ una clessidra
che si ribalta sola per dotto lacrimale
è un blues e una canzone minchiona;
va lasciato, dormire sette ore per notte
sennò muore.
10 NON DESIDERARE LA ROBA D’ALTRI
Posted in poesia on febbraio 20, 2016| 8 Comments »
L’epistola diceva di mettere sul conto
un uomo molto onore sarebbe poi passato
col borsellino e quattro palanche
col sorriso, di chi c’ha una cravatta soltanto.
Là, a bottega, ormai mi conoscevano bene
frangia scura, il mezzo litro sotto l’ascella
niente ombrello.
L’epistola diceva di mettersi una mano
un po’ sulla coscienza e un poco nelle tasche;
il salumiere aveva matite sull’orecchio
la moglie degli anelli vistosi
e un bel rossetto.
E poi chiedeva anche di mettermi a dottrina
una vestina per servir messa
e un occhio buono, per fare che fuggissi dai guai
da tentazioni. Diceva di indicarmi la via
poi verso casa, fossi rimasto al buio nel cuore
o solo in cielo, ché qui la sera viene a minuti
e fa radici, tra i muri e i gabinetti in cortile, in un bel niente.
E proseguiva, sai, molto grande
molto chiaro, con la calligrafia della terza elementare
– Ho dato gli otto giorni dal medico, domani
potrò ricominciare il lavoro
a far pulito. Le tende ve le cucio la sera
ma è compreso.
JEFF BUCKLEY
Posted in poesia on febbraio 19, 2016| 9 Comments »
9 NON DESIDERARE LA DONNA D’ALTRI
Posted in poesia on febbraio 17, 2016| 22 Comments »
Chiamatelo uno scrupolo perfetto di coscienza
ma è raro tocchi il petto alle altre
e quando amo, mi turo il naso e trattengo il fiato
vado a fondo
nell’acqua divenuta verbale, tra i ginocchi
e venticinque spinte di parto.
Dentro, vedo.
E assaggio con la lingua le asperità forzate
la storia delle lune di agosto, il pieno inverno
dei lutti e delle calze strappate.
Quando amo
pericolo i capelli in un gorgo senza fine
scrivendole le natiche e i fianchi, come a un tronco
gli anelli ad indicarne l’età.
Mi faccio verme, per implorare grassa la terra
e per fuggire, dal becco falciatore dei corvi
dalle pietre, dal sibilo veloce di certe morti fredde
che tutti i giorni tocca patire.
Ecco che faccio
se il buio delle gambe si svela e mi conduce
là dove un’altra vita mi cerca, e prende mano.
**
Come fa male l’inchiostro della luna.
Tra Via Farini e il resto del mondo è tutto un corpo
un semplice lenzuolo arancione
e tu scoperta
come fossi l’America di pomodori e frutta
salvadanaio per i miei occhi. Si, fa male
sentirmi prigioniero politico del nudo
con l’ultima missiva da scriverti, la busta
qui sotto la mia lingua con l’indirizzo in chiaro.
Fa male come certe abrasioni, certi tagli
con quella carta da macellaio, azzurra, gialla
i cui contorni sono assassini, grezzi. Puri.
Fa male mescolarti alle sottigliezze vane
al resto delle conversazioni
a quei dettagli, che fanno i giorni persi al lavoro:
mongolfiere.
Che salgono e svaniscono al cuore, dietro i monti
perdute nel teatro dei sogni.
Si, fa male, è amaro come certe notizie date piano
con il motore del portalettere lontano
che poi diventa sempre più nitido, e farfuglia
accelera il suo passo col gas sopra il manubrio.
Fa male non riempirti, restare vuoti entrambi.
8 NON DIRE FALSA TESTIMONIANZA
Posted in poesia on febbraio 15, 2016| 11 Comments »
NON DIRE FALSA TESTIMONIANZA
Non dirmi che vien meno la terra sotto i piedi
che l’usignolo è spettro di drago
e il grano infiora.
Non dirmi che i miei occhi bugiardi tu li adori
che nessun altro ha aperto il tuo addome.
Anch’io ti voglio, ma con lo sguardo a inizio di luce
a quel principio, che aveva le sue mele non colte
amo l’amore
il buio che ti fa come a venti dentro un auto
la lingua in ogni dove, con avida premura
la calma mai raggiunta anche dopo fatti male.
Dimmi il vero, il puzzo della noia che senti
la paura, che insieme a questo orgasmo piccino
muoia il seme, la regola del frutto rinato a primavera
l’origine dell’Uomo e dei pesci.
Oppure taci
che il sibilo del corpo che mente è come lama
mi nuda le ferite del tempo, la ragione
d’aver provato mille e più volte
si, a ruggire.
TUTTO TORNA
Posted in poesia on febbraio 13, 2016| 18 Comments »
C’è qualcosa, nel tuo curvare pigro
che tanto mi ricorda mollezza della terra;
la pia consolazione di un prato rifiorito
a dirla ancor capace di figli, frutti e pane.
C’è tutta la pazienza di tante madri stanche
al tavolo del figlio col libro della scuola
l’ostinazione lenta a capire le misure, le cifre
e il pieno della memoria.
C’è il creato
la pozza degli odori indistinti
il fatto strano, che debba io sentirmi di te
come mai prima.
Hai il fresco luna, qui sulla schiena bianca
che è tela di pittori,
un vago calpestare giù in strada degli uccelli,
le gambe come latte di mandorla.
Mia cara, insieme, come pagine lise
un giorno andremo
nella soffitta dei bei romanzi, delle fiabe
là dove le agonie sono nulle e succhi il dito
come facevi a primi vagiti.
Tutto torna
nell’anima di un gatto rimetteremo il riso
il pianto sarà lingua di bove
il resto acqua.
7 NON RUBARE
Posted in poesia on febbraio 10, 2016| 23 Comments »
A una che passava ho rubato ago e filo
per chiudermi la bocca durante il film;
e il giugno
della sua gonna a fiori tornata ora di moda.
A un altro che sedeva giù al molo l‘idiozia
di camminare sopra le acque
il viso allegro, l’ingenuità di certi assassini
un po’ per caso. E il naso grosso.
A un tizio, che fratelli non ha, a restare solo
col cielo che diventa marrone e dopo niente
un coloraccio buono ad esprimersi col nero.
Ma prima d’ogni cosa rubai il suo sonno, e il miele
le carte giù all’anagrafe di lei col cuore molle.
Rubai le pere del contadino, il cacio al padre
gli zoccoli per stare in cortile alla mia zia.
A te ti rubo un poco ogni giorno, tutta intera
in piedi o sparsa per il cuscino, troppo donna
per rimanere un bravo ragazzo.
Rubo sempre:
le fisime di certi poeti per il mare
la cieca devozione per gambe nude e culo;
il bacio anche alle amiche, la bocca mai uguale.
Perché non c’è una rosa gemella, e neanche sposa
non c’è una caramella più dolce dell’amare
del furto con le mani bambine, ed il peccato
averne solo due per sentirti giubilare.
6 NON COMMETTERE ATTI IMPURI
Posted in poesia on febbraio 8, 2016| 9 Comments »
Se la riprese, e poi sussurrò
– fammi le care.
Mansueto come un cane da branco ormai azzoppato
voleva la sua mano alla testa
era smanioso.
Voleva la sua mano sul petto, sulla pancia
più giù se non provasse vergogna
a farlo dio.
Voleva che la mano sporcasse la poesia
perché la fede ormai era perduta, il senso pure
del far bella figura tra i vivi.
Lui, il brav’uomo, capofamiglia o firma di chi ne fa le veci.
Voleva si chiamasse tutte le donne avute
di più la prima e unica sposa, ma a vent’anni
non so se c’hai presente i colori dei ‘50
le ultime macerie là ancora da spostare
e le balere un tempo cortili.
Per favore
quell’uomo, si, ne aveva bisogno
come un fiore
che mette su la testa nell’acqua ripulita
prima di scavezzarsi nei petali, e nel cuore.
***
L’opera è fresca, di un laico angelicato.
Novella come i pomi di fronte all’avvenire
scultura fatta in burro e mistero;
la tua mano
sul precipizio dove sei d’oro ed anilina
sul gorgo delle favole d’Eros, sulla barca
dentro la quale un pesce divento, privo d’aria
e luccichio di squama perfetta.
L’opra tua
violenta nel cercarne ragione, delicata
come fa l’altalena con debito di vento.
L’opera tua dell’indice unito a quello medio
la predica dei carri su per la strada sfatta
la risalita per i vigneti, l’oasi in grano
dell’istrice che l’inguine infiora.
L’opra sacra
il mantice del ridere dentro, del peccare
mostrando i fianchi al medico impasto della sera;
tra le tendine e il pizzo dei vasi di geranio
tra scendiletto gialli e amaranto e la mia guardia.
L’opra oscena
del nudo senza nero
senza cappello di paglia e venti ortiche
l’opera nuda del getto naturale
le quattro labbra in segno di sfida, il loro canto.