Non è che viene su come l’acqua.
Su da un pozzo, con una corda e un secchio di zinco.
Il Jazz è un gatto, nascosto sotto il letto dei nonni
tra le foglie, e gli alberi pizzuti nel viale di memorie.
Non guarda la tua coscia di onice, il dirupo
nel quale fummo insieme sensuali e facce smorte.
Non cerca l’orifizio di luce, il seno uscito
dell’ospite in esilio di specchio. Lui è una pesa
un indice di grano e di sax, è un osso buco
una conchiglia in punta di mare.
Il jazz e il blues
son fatti coi bastoni e la schiena degli schiavi
con lampade a petrolio nel buio della terra
col tuo dolore mentre mi sogni e non capisco
se vuoi l’amore o solo sparire
dire basta, a purghe e anatomie violentate.
Il Jazz è un bimbo, che sale alla credenza
ed espugna come un bardo, lo zucchero dei giorni migliori
e un po’ ne lascia, per quelli fortunati di meno.
E’ la sua bocca, mentre pronuncia
– si sono io. Che ho attinto dalla fonte di vita
e che ha leccato, la gioventù di mamma in un quadro.
E ho fame ancora.
Ho fame delle grate ai negozi, dei ginocchi
piantati in terra in cerca di biglie;
dei capelli, tenuti su da pettini d’osso
e in mezzo un fiore.
Ho fame delle mele dal prato di Euridice
del becco degli uccelli sul latte consegnato.
Ho fame delle lotte di là e di qua dal fiume
dell’acqua che lavava via il sangue, delle fonti
con sotto la mia testa spaccata.
Ho fame, ancora, dei giorni in cui gridavo giustizia
con passione. La stessa che mettevo la sera in un androne
baciandoti come un terremoto.
Ho fame, ora, che non ci sia nessuno a digiuno
od impiccato, per aver sporto troppo la mano sopra il pane.
Ho fame delle scuole dov’eravamo uguali
il ricco con il povero chinati sopra i libri.
Ho fame delle giostre al paese, e di mio padre
gli spiccioli contati e la terra sulle scarpe.
Ho fame che sapevo anche correre e sudare
immergermi in un tino col collo e orecchie insieme.
Ho fame del vapore sui vetri, e dell’osceno
di scriverti in due lettere appena
voglio te, più nuda di una mandorla nuda
bianca e immensa, aperta
come il libro più amato di Neruda.
Ho fame delle note di Miles e dei due cuori
dentro lo stesso ventre di donna, ho fame te
mentre dissangui come una pera, un melograno
e sporchi il mondo in figli e bestemmie, ho fame
ancora, dei dischi che mettevo in anticipo d’amore
sul lungolago beige del divano, a pelle d’oca
per via di una stufetta malsana. Ho fame
ancora, della tua schiena rossa d’ottobre
delle chiese, dove lanciavi pugni di riso a qualche amica.
Ho fame, ancora, di tutti gli animali al cortile
dei granai, di certi parrucchieri affilati senza impegno,
grembiule né fatture a nessuno. Ho fame, ancora
di certe indigestioni d’anguria e figa forte
dei libri di poesia di qualcuno, forse Dio
chiunque sia e dovunque risieda.
Ho fame? yes!
Archive for gennaio 2018
KIND OF BLUE
Posted in poesia on gennaio 28, 2018| 11 Comments »
ECCO IL MIO CORPO
Posted in poesia on gennaio 21, 2018| 11 Comments »
Così il mio corpo si estende, come un’ombra.
Dal limite supremo del caseggiato eterno
al piccolo ristoro di un mandarino in erba.
Così, più stravagante di mille trampolieri
venuti all’adunata della bellezza in fiore
più generoso, giuro, di piazze e di roseti
di un cenno tuo d’assenso alla vista di una suora.
Raccolto come il fieno e lo zolfo
più tremante, di un bosco popolato di uccelli.
Piccolino, nel salutarti mentre consumi
e ti fai pietra, con l’anima a disagio nell’incontrare Dio.
Ma grande quanto un ettaro verde di risaia
se solo lo vuoi tutto per te, come un vestito
un animale puro d’istinto e di pudore.
Più grande del mistero che mi fa stare in vita
tra queste finestrelle di stenti, e di colori
domesticati ad ogni evenienza.
Ecco il mio corpo
s’è fatto come i salici che bevono la luna
fissandola in due specchi di rame, ingenuo e sordo
vigogna e scorribanda di lino, tuo per sempre.
CAPIRE LA POESIA
Posted in poesia on gennaio 14, 2018| 21 Comments »
Non la comprendo l’ermetica, la Bibbia;
certa poesia del vivere oscuro.
Non distinguo
il bello dei fiorai da una madre in dolce attesa.
Io la poesia la mangio ed ingrasso
poi cammino, smaltisco analogie e cazzi vari
faccio il santo.
Colui che non farebbe una mossa non concessa
davanti a un pelo biondo di figa.
Non capisco
mi limito a riempire il mio vaso di bellezza
di afrori e di sudore di quando ero bambino.
E fingo non conoscere, ogni volta, gli aquiloni
e poi gli arcobaleni; perché così è la vita
mentire un po’ per non impazzire
e per guardare, la strada avanti e crederla eterna
tutta luci, e angoli di lepri ed aironi.
Non capisco
la leggo con la lingua di fuori, come amo
perché è la stessa cosa che stare insieme nudi
toccarci fino al pene del cuore
e mescolare, le singole esistenze in un’unica ragione
siam tutti terra grassa, respiro da lontano.
SENSO UNICO
Posted in poesia on gennaio 7, 2018| 19 Comments »
Più dell’esangue frutteto
o dei canali, venuti zolfo al tanto impigrire
più del rosso, purificato in cento ritocchi;
in me, il segnale
era il suo reggicalze risorto dal cassetto
la voglia di coprirsi le gambe sulla bici.
E poi la Luna
che piano riprendeva il colore degli incanti
in quella frontaliera casetta degli affitti
spazzata, si, da un vento qui raro
e il resto immersa.
L’inverno delle braghe del padre sulla sedia
dell’erba che perdeva statura, delle suore
venute fuori da messa prima
testa bassa.
Adesso vedo un viale di foglie, e me bambino
sul fondo a fare “ciao” con la mano.
Prima arretro
ma poi rispondo timido e uguale
gli sorrido.