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Archive for novembre 2020

QUATTROCENTO PASSI

A colpo d’occhio saranno quattrocento

i passi che dal treno ci portano qui a casa.

C’è un viale di cipressi coi nomi dei soldati

canali con la bocca stancata d’aver sete

e sempre qualche vecchio seduto alla panchina

con un giornale e un chilo di spiccioli in ricordi.

Sorride coi suoi occhi allagati e indica il prato;

ha viso qualche uccello piumaggio silenzioso

e a noi vorrebbe dire che tutto è meraviglia.

Sia pure sotto il braccio le carte sono chiare:

una strana malattia sporca il quadro di ambedue

che come fosse un lupo cattivo, nascondiamo

il viso tra il lenzuolo e le braccia in letto a sera.

L’amore cura bene altrettanto che il dottore.

L’abbiamo salutato con cortesia sincera

lui ha tolto il suo cappello, perché sei una signora.

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FACCIAMO ACQUA

Non c’è bisogno di un grande risultato.

Lui ride nel suo mondo d’ovatta, lo sa bene

che forse pochi anni lo baceranno ancora.

Eppure ride come un ragazzo, e perde acqua

dal labbro che fa un po’ come vuole.

E noi ridiamo

con lui che ne ha ben viste di cose, e allagamenti.

Ridiamo dell’infanzia futura, del progresso;

ridiamo perché i fiori lo fanno da milioni

gli uccelli alla bocciofila

le gatte sui calcagni.

Ridiamo perché viene la notte insieme ai lupi

e noi la carezziamo, ché male non fa mica.

Ridiamo perché abbiamo l’amore

e siamo maghi

con gli occhi da bambini riempiti di stupore.

Ridiamo fino quasi annegare, bella vita.

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TOCCAMI

Come al catino di zinco, metti mano

sono un’acquasantiera stamani, benedetta.

E ho rigettato forte il deserto arido e solo

come mio padre gli inverni delle nebbie

dei tram colore tacito assenso.

Prendi il corpo

è sempre ultima cena se arrivi in processione

se sali per le scale che pari una marea

fuliggine di sale e tristezza novembrina.

Metti mano

la gioia di vederti ora è un albero, un campetto

con quattro stracci in terra a delimitarne il senso.

La gioia di vederti mi fa latte di capra

più nudo di una mela e rotondo come un sole.

Ti succhia via il veleno dal seno ancora acerbo

e canta come un passero sui fili del bucato.

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NUANCES

E quando fumi di notte vorrei tanto

ti denudassi gli inguini scuri

e poi venissi,

qui sulla porta a becco di mondo.

Una signora, con sotto niente e seni piccini.

Almeno un’ora

d’erotica possanza dipinta.

Come un ciuco

io seguirei il pietrisco dei piedi, su, ai sentieri

che impervi fanno femmina il corpo.

Fino all’acqua

l’asessuata essenza degli angeli caduti.

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NININ

Ninin,

vieni a vedere gli alberi accampati sotto vento

com’è che la stagione li veste per la festa.

La stessa foglia d’acqua che tu suonavi al labbro

adesso ha le pianure dell’Africa, gioielli

appesi agli orecchini di mamma.

Dai, prendi.

Ti lascia nella mani un polvere d’uccelli,

di quando vanno per continenti, e a lungo in aria

rimangono guardando la terra.

Vedi, Nani, così anche noi passiamo di mano

come i morti, ai quali dedichiamo maniere più gentili

passato il tempo di compagnia.

Sorridi sempre

a una che neanche conosci. Più leggero

ti sembrerà il cappello degli anni, e tu migliore.

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