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Archive for dicembre 2020

CASCA IL MONDO

Il corpo mi fa musica

si muove in direzione dell’erba;

a volte abbaia.

Non ne ho tenuto conto granché

lo ammetto, ieri.

Pensavo mi salisse sui monti come niente

fino all’età dell’arca e ben oltre.

Si, ero ingenuo

vivevo tra le cosce di una ragazza mora

il pelo un po’ invadente, la terra tra le unghie.

Vivevo come un albero in luce lungo il fiume

un gatto di cortile tra tegole e fogliame.

Avevo il corpo elettrico di tutte le centrali

e lei si fulminava la bocca nel toccarlo.

Avevo il corpo fatto di latte, una gran tetta

ed ora che accarezzo l’età del bronzo e il ferro

ti chiedo di seguirne la danza ai primi passi

prima che cada col mondo, in un gran tonfo.

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SONO TUO

Ho conservato il topazio dell’infanzia

ne ho pieni i palmi,

e di conchiglie aguzze.

Che possano toccarmi nel sangue

senza guerra, nel cuore di cerusico acerbo.

Sono tuo, sia padre, madre, o uomo imperfetto

un olmo in grazia, un timido veliero di carta

tra impetuose, ondate d’acqua verde pianura.

Sono tuo, lagnoso come il vento talvolta

febbre al labbro.

Sono l’ammasso d’alberi che a piedi nudi sali

il parto delle foglie macache. Vieni presto

ho lune nei miei occhi mai state più pulite.

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LA GRATITUDINE

La gratitudine è una bestia da cortile

così, se cerco l’oro alla terra, a te lo devo

alle tue mani di pietra levigata.

Alle tue storie sul tempo e le tempeste

al modo naturale e bizzarro che hai di amarla.

E’ questo ritornare ogni sera un po’ più stanchi

dire ti voglio bene e vedere poi crollare

la mamma che sta su dalle tre, dormito poco.

La gratitudine è un cognac nel tinello

ci vogliono le feste importanti, le occasioni.

E allora tu ti metti le scarpe come niente

fumando quella mezza Marlboro fino al palo;

là dove la corriera si carica il modesto

di quattro o cinque forti paesani tuttofare.

La gratitudine si mette ad asciugare

ha il filo dell’elastico molle, un reggicalze

tenuto insieme a maglie e bragoni.

E’ mamma in fiore, con il suo seno verso il futuro

una scialletta, che viene buona al turno al lavoro.

E’ quel via vai, da una stanzetta e l’altra

per mettere il regalo:

giocattolo venuto via a poco, ma il migliore

per me che di nascosto vi ho visti sbaraccare

le cose sulla tavola per l’ospite notturno.

Quel Babbo che contavi aver visto là a Milano

tra il traffico e i palazzi moderni.

Lui, mai vecchio.

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PLANETARIA

Forse dar voce a un lamento è stato il viaggio.

Noi istruiti ben poco amiamo i suoni

i nomi delle cose mandate giù a memoria.

Viviamo l’esistenza curando le attenzioni

un fiore, una carezza.

Un bel bacino dato di bocca

ma non prima, d’aver levato indosso il paltò

e puliti i piedi.

A volte, gioia intensa, è incontrarti nuda e molle

le tre di notte e qualche rumore, là di fuori.

Allora, coricata, sei il mappamondo intero.

Se tocco le stoviglie dei seni sono in Asia

mi bagno dentro il ventre dei mari, e il pelo riccio

nasconde cento specie di uccelli.

Un’alberata, che ha ben mangiato l’ombra dell’Africa

e fa luce, col petto

come un faro che ha occhio di archibugio.

Le onde fracassate sui fianchi, il sale al labbro

per farmi venir sete di te, mille anni ancora.

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STAGIONI

Invecchierò come te, padre antico

e delicato.

Con tutte queste vene a gridarmi il sangue dolce

le gambe appese a un filo di spago, i piedi aria.

Sarò con la mia testa sul grembo di qualcuna

per farmi consolare i sudori e i tempi andati.

Sarò sul carro in fieno a mangiare stelle e bisce

col pene molle come bambino

il naso asciutto, seccato dagli odori d’incenso

e malattia.

E sarò vecchio come un ragazzo di peluria

i denti in coccio contro la luna, qua e là il viola

dei troppi mancamenti al concerto della vita.

E sarò vecchio come nessuno, solo al mondo

con voi che come api mi girerete in testa

facendo primavera in inverno, tutti fiori.

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