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Archive for aprile 2021

FINO ALLA FINE DEL MONDO

La libertà era una cosa mica chiara

se in mezzo ai campi poca istruzione e niente scarpe.

Il tuono del fucile cessava coi vitelli

quando del fieno seccato gli si dava.

Di certo mille morti sono bastati allora

ma non i fazzoletti per piangerli: i villani

hanno le lacrime povere in sale. Puoi anche berle

così che non si sprechi più l’acqua del padrone.

La libertà è una monella sempre sveglia

si arrampica sugli alberi, si getta dentro un fiume

devi seguirla con tutte le molliche

salvarla quando rovi di spine ha sul cammino

ed insegnarle il fuoco che mente, mille volte.

Mio padre ha sventolato bandiere solo un’ora

all’ombra del richiamo gridato dalla terra;

il proletario mica c’ha patria, solo braccia

e il prato non conosce confini, l’erba è verde

da qui fino alla fine del mondo, tutta uguale.

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IL TEMPO IMMOBILE

Vorrei la mia vecchiaia fosse una notte chiara

un caldo continente per barche alla deriva.

E dentro il naso un fischio di vento, tale e quale

a quello del vapore dei treni;

così forte, che ancora di tornare mi sembrerà la sera

alla mia casa d’alberi e fango.

Là, sdraiato

così che il tempo immobile possa riempirsi d’api

del volto di mio padre che torna per la strada.

E del sapore amaro della cicoria cruda

raccolta da mia madre in ginocchio ai prati elisi.

E infine il fiore in sale del cappero al palato

quando con gli occhi d’acqua berrò alla tua fontana

mia vita generosa, l’ultimo sorso ancora.

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Non mordo più l’incoscienza di una mela,

andare a bocca aperta nel vento è stato un rischio

ma mai lo si dimentica, credi. Ed è animale

l’istinto che ha abitato questo mio corpo teso

la vastità negli occhi del lupo, il suo vigore.

Così che ancora adesso sul nudo vengo meno

come se chiarità della vita, tutta insieme

si presentasse a me a fondo valle, in tempo d’ombra.

Un sorso d’acqua sulle tue rose mai non manchi:

è il fiore per le labbra di un bimbo che io adoro.

E sempre un buon raccolto possa produrre il campo

per la tua schiena feconda ancora infante

per il tuo addome di pietra e fiume arso.

Là dove sorse la vita mista a sangue

sia eretto un pozzo a lunga memoria, sì ch’io possa

lanciare il grido di giovinezza, e averne l’eco

dell’onda che riposa per mille anni ancora.

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RISORTA

Come se pietra ti fosse questo lino

il bianco carapace dei sogni ora scostato.

Non sei figlia di Dio, ma femmina terrena

risorta come Lazzaro ai secoli, divina

nell’acqua e nelle messi degli inguini.

Loquace, come lo sono le foglie del ginepro.

Scomposta la mattina che un prato ora mi avviene

dove due scolaresche squittiscono per ore.

Se questa vita è calma lacustre, tu sei il tuono

la lama dell’estiva cicala nel canneto.

Ora risorta, attendi la tua prossima morte

me vicino, capace di umettarti le labbra

tale al putto, nel quadro della Vergine al muro.

Siamo grano, tu del colore acerbo

pur se non te ne avvedi. Io il fiore del papavero rosso

sì sottile, che puoi guardarmi dentro

quel che chiamiamo amore.

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