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Archive for ottobre 2021

TUTTO UN FIUME

Di tanto piovere fitto amo il rumore

e l’erba che par come una donna d’altri tempi;

lavata, profumata, l’icona tua d’estate

quando le scale riempi a piedi nudi

lo strascico di un sonno profondo

e la sorpresa

d’attenderti come prima volta.

Amo i riflessi

la polvere del sole, poi, seminata a grano

la cerimonia lenta del suolo verso il cielo:

acqua per acqua che lascia terra e sassi.

Quello che sento, nel piovere improvviso

è il palpito del petto di quando sei vicina

la goccia sulla lingua che tanto sa di baci

di umido profondo dalla tua gola scura.

E’ quel tremore sopra le rose che ricordi

aprendoti all’amore come se fosse fine:

l’umanità perduta per sempre

tutto un fiume.

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IL PUDORE DEGLI ULTIMI

L’ho vista,

puoi dirla meraviglia,

la luce di vapore su dalla concimaia;

quell’atto di dolore verso la via d’inverno.

Ho visto questa scorza di albero soffrire

come la pelle di un uomo, il labbro sporto

al miele di un gran seno materno alla buon’ora.

Ho visto le sue braccia di ontano in piena estate

contorcersi nel vento e graffiare anche la luna.

Ho visto la mia forma mortale in divenire

la roccia dubitare, friabile, e le pietre

infine, rivelate in un fiume fatto secco.

Ho visto anche il pudore degli ultimi

un bambino, uscire dalle ossa di un vecchio

e andare altrove.

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VUOTO A RENDERE

La domenica è fatta per gli incontri

per i biscotti secchi

guardarti mentre ridi.

Il taglia calli e i vasi in basilico

le fionde, con cui tiravi al cielo

mancando uccelli e stelle.

Domenica lo sa la campana

il tabaccaio, giornali come semina a grano

e la lentezza;

un cane che rincorre le nuvole, il soccorso

che spiega le sirene anche se è mare aperto

la strada principale del borgo.

Ma è dovere, conoscere la sorte di ognuno

e dire –amen- mi volto ancora per un istante

alla tua pancia, alla tua schiena nuda

tua fragile esistenza.

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LUNA ROSSA

Nel mio ginocchio ferito il plenilunio

è questa la mia scaglia poetica:

il ricordo.

Ricordo del dolore, della mortalità.

Potessi dare il labbro all’arancia ora nel cielo

le spiegherei dei sette e più giorni

del creato,

dell’esplosione Prima e del sauro fuori d’acqua.

La scienza con lo spirito insieme.

O molto meno:

l’insonnia che mi manda a quest’ora giù in cucina

a coltivare odori di pane e di caffè

ad aspettare lei, che mi chiama per l’amore.

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TENORE

Se la parola – Bocca –  ripeto all’infinito

rinasco a marzo e muoio in inverno

è nel destino.

Così come natura ha voluto la palude

l’uccello all’acquitrino là su una zampa sola.

Lo stesso sole scorza d’agrumi hai visto, padre:

tenevi una Marlboro spezzata tra le dita

il naso alla corriera, lanciata da siluro.

Ma hai governato bene la Bocca

dal padrone,

così come a mia madre chiedendola per sposa.

Avevi per spartito i tralicci della luce

le nottole sui vetri degli anni dell’infanzia;

gli ottoni di un’orchestra quando dicevi

  • mangia, che il mondo è un prato

lungo d’attraversare. Stanca.

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