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Archive for novembre 2021

IO VADO INCONTRO ALLE MANI

Io vado incontro alle mani,

mani tristi,

spellate come gli alberi davanti casa prima.

Ci metto il viso, l’intera mia stagione

la fretta d’esser figlio di tramandata speme.

Ci metto cantilene prima del sonno antico

le gemme che ho raccolto, da qui

al tuo ventre nudo.

Io vado incontro alle mani tue capaci

all’incavo dei venti, a te che sei campagna

e bruma di mattina.

Io vado incontro al tuo fiato d’alcol puro

ai denti fatti pietra, al tuo collo di roveto.

Io vado all’istrice bianco, al pube d’oro

agli inguini colonne dell’Ercole;

e più in fondo,

là dove il sangue ha gironi di clemenza

navi scomparse e rumori di pianura.

Io vado incontro alle mani, perché, solo

non so più riconoscere la stella che mi guida

il Nord da una qualsiasi strada

ho mezza vita.

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IL NOME INCISO

Se il tempo t’ha dissolto le ali

ascolta in terra:

l’ordito di radici ha il percorso delle vene

il lezzo delle pietre più umide

la voce, che ti svegliava presto il mattino.

L’alba giace

là dove il cardo è un mistero in divenire

così, se alzi la mano sul marmo dov’è il nome

diventi come il fiore che più ostinato incide

tra le durezze certe del mondo il suo splendore.

Ti sento mormorare parole elementari

il ritmo di preghiere imparate: metti il cuore

le ossa divenute fogliame

sei un battezzo.

Così, nel ritornare, ti sento più leggera

poiché ogni volta santa il tuo albero ha una mela

lasciata in qualche parte

a memoria del tuo uomo.

Vien quasi da tenerti nel viaggio, madre mia

perché se viene un colpo di vento

voli via.

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ANNI PURI

Dovessi raccontarti del fieno appena colto

dovrei citare la nuca tua sudata

il neo che la sigilla, amaranto

e la mia gioia,

d’averla sulle labbra tastata in anni puri.

Anche tu al sole asciugavi le paure

toccata dagli uccelli talvolta

in voli obliqui, furtivi

come a cogliere gemme.

Anche tu, sola

tenevi in pugno il latte dei mandorli

il trifoglio, la terra navigata nei sogni.

Rivoltato, il fieno mostra ancora mistero

tu la donna, l’acerbità del ventre invecchiato

lo stupore.

Il magro nutrimento ora liso e saccheggiato

la luce sulla porta di vita

un rovo in more.

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MEMORIA DELL’ACQUA

T’ho conosciuto i fianchi,

venivano d’altrove,

rami d’ulivo battezzi nel Giordano

piccoli seni al giardino degli agrumi.

Non ho più mondo e arte che possano arrivarmi

se non quel camminare sull’acqua come Dio.

Protendermi con l’orlo alla gola

e ancora oltre,

là dove il suono acuto si fa gentile e azzurro.

Seguire poi la rotta di quegli uccelli antichi

che affondano col becco fin dove amano i pesci.

E infine riversare sull’onda quanto è stato

magnifico il mio viaggio dei semplici, con te.

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