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Archive for dicembre 2021

OGNI COSA TERRENA

Se non mi vedi più al limite dei boschi:

seduto a un fuoco acceso

la nudità felice;

è perché il giorno del fiele ho conosciuto

il suo scalpello triste qui sulla coscia dura.

Non è peccato il veleno dei poeti

peccato è berlo e farselo amico,

è questo tedio, rimpianto forse

pio desiderio. E’ l’appassire

di questa viola sotto la neve.

Ma resisto.

Capisco il tuo profilo di donna

e mi rallegro,

la notte adoro il fiato che suona sopra i muri

la tua gloriosa bocca che cerca l’aria pura.

Così si trae coraggio, e forse anche la fede

c’è vita in ogni cosa terrena

ed io lo sono.

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LA PAVONCELLA

Li voglio lunghi abbastanza per l’ingaggio

che possano le mani sentirne i fini umori.

Li voglio per poterli scostare

e far museo, di quel tuo collo da pavoncella;

e delle vene, carpirne le maree e getti d’onda

ogni svagata, tua notte tra le mandorle e l’uva.

Così, nuda, fin anche nei reticoli in sangue

come un prato, che il vento di settembre

prepara alla ribalta.

Io voglio i tuoi capelli come bocconi in pane

per questa bocca tanto gentile quanto sciocca.

Io voglio i tuoi capelli di frusta e gelsomino

che corrano per questa mia schiena priva d’ossa

fino alle orecchie piene di mare e di tempeste.

Io voglio i tuoi capelli sugli occhi miei di bosco

come betulle d’aghi e fogliame

sparsi

belli.

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VIVO BENE

Certo, del tenero, o desiderio puro

saliva in me in quel Bar mezza strada;

tra i vent’anni

e il buco nei calzini che non ho mai aggiustato.

Versava noi dei calici in bianco

  • quello nuovo –

 diceva, ed era vino degli anni.

Come lei

completa nei suoi gesti di donna sui cinquanta.

Due spanne dal suo viso come le mille miglia

un surplus d’esperienza nel mezzo

come un fiume, che d’impeto vestito

io non osavo amare.

A volte si può fare l’amore da poeti

le mani tra le sue, ma discrete, tra la gente

venuta lì per dimenticare, o solo a bere

due dita di Friuli in inverno.

Sono grato, a questo cuore mio innamorato

vivo bene.

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COMFORT ZONE

Non ho paura dei cani,

sto distante,

se gelano lo sguardo con diffidenza pura.

Mi fa paura non esserci per te

per tutti voi fratelli.

Sia pure lo so bene che il tempo spazza lungo.

Allora, scioccamente, parlo da solo in casa

mi cerco come mamma faceva, certe sere

che per troppo silenzio mi dubitava il fare

l’esistere fin anche

se non nei suoi pensieri.

Discendo queste scale provandone sorpresa

e metto sulla tavola i confetti di domani

le scarpe del mio giorno di sposo;

i sogni belli

spremuti nelle notti che ancora non sapevo

le terre emerse dei tuoi bei seni.

Chiamo il nome

e a volte non rispondo:

mi devo abituare.

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IL PREZZO DELLA NEVE

Si regalò dei denti quando poté pagarli

dei libri con parole giganti

un apparecchio,

per ascoltare ancora gli uccelli dell’infanzia.

C’è un’ora in cui la luce impigrita è sulla pietra

nell’angolo che sfiora la vigna

là, in cortile.

La stessa del suo vermouth

nei giorni ch’era festa:

soldi di carta a cambiare, le specchiere

inganno per le carte riflesse nella Scopa.

C’è un’ora che si sente nell’aria anche il letame

la fecola dei campi che evapora

e poi l’acqua, del lavatoio

perdersi in sogni e limatura.

E’ quella in cui avrei voglia di dirgli mille cose

ma più sentire storie di donne e di corriere

di tutto quell’andare al lavoro

come un santo, che ride del martirio

perché già morto altrove.

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