Ma più la bocca del pesce gatto preso
dissolse l’estasi in me, gran pescatore;
quel debito alla vita
scomposto in mute note,
la lucentezza dell’occhio disperato.
Là nel canneto,
frammento in pozze d’acqua,
immobili tal lacrime cielo;
guizzi appena
nel torbido di sua malachite.
Il corpo teso
e dopo scosso, come fulmineo.
Volsi altrove
la mia fragilità adolescente: non è cosa
per me sortire effetto di gioia
all’altrui morte. Così,
come si libera al volo anche il rondone,
lo posi nell’abisso con fare penitente.
Seguendo poi più vergine acqua
in cerchi molli,
dispersi in prolungata memoria
e dopo quieti.