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Archive for febbraio 2022

LA FERITA

Ma più la bocca del pesce gatto preso

dissolse l’estasi in me, gran pescatore;

quel debito alla vita

scomposto in mute note,

la lucentezza dell’occhio disperato.

Là nel canneto,

frammento in pozze d’acqua,

immobili tal lacrime cielo;

guizzi appena

nel torbido di sua malachite.

Il corpo teso

e dopo scosso, come fulmineo.

Volsi altrove

la mia fragilità adolescente: non è cosa

per me sortire effetto di gioia

all’altrui morte. Così,

come si libera al volo anche il rondone,

lo posi nell’abisso con fare penitente.

Seguendo poi più vergine acqua

in cerchi molli,

dispersi in prolungata memoria

e dopo quieti.

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COLIBRI’

Chi più felice di me sta alle tue rose?

Caduto mille volte m’è naturale il volo

adesso che gran parte dei giorni

è nei ricordi, adesso

che il silenzio di neve amo per primo.

Gli uccelli della tua primavera fanno l‘eco

son qui da un’altra parte del mondo

affaticati, nascosti tra le pieghe

degli alberi più nudi.

Ma io sono felice di te, delle tue rose

come un’infante in stato di grazia

come un cervo, venuto dalla bruma

in un giorno spacca sole.

Perché tu sei la fonte proibita

la migliore, la spina che dal dorso

mi ricongiunge al cielo.

Perché tu sei la mela per la mia bocca nana

l’amore ai tempi folli,

di chi non ha più tempo.

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VUOTO A RENDERE

Adesso vorrei tanto tu mi gridassi

a casa!

Per quell’età filo d’erba e calze sporche

per quelle mani aggrappate al fil di ferro

odore di tabacco scadente, il sangue pesto.

Mangiare il pane cotto,

sognando altre vivande,

una stanzetta tutta per sé, la vasca in casa.

Tu che ritorni orgoglioso in busta paga

perché è Natale

e sei stato il più brav’uomo.

Adesso vorrei dirtelo forte

tutto il tempo, tutto il silenzio

dei musi contadini;

il goccio rosso primo che mi faceva grande

prima del giusto

prima di chissà cosa.

è già passato un anno papà

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UN ALBERO DI FERRO

Là dove c’era il gasometro

e una fiamma,

s’affaccia un vetro senza tendina:

la mia casa. E un angelo

pittato sul muro, in altro cielo.

Non c’è rimasto che un albero di ferro

un faro spento e bigio nel mare d’erba bassa.

Ma se l’osservi con l’occhio dei giganti

c’è il pizzo della bruma che danza di buon’ora

il piccolo fantasma della mia infanzia chiara.

C’è uno che va a scuola con pane burro e pioggia

la frangia dei barbieri mai morti, dilettanti.

La bocca che somiglia a un’arancia

e parla sola. S’inventa un primo amore

che ancora non sa il letto.

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ANCHE PER ME

Ho l’incentivo dei piedi infreddoliti

del tuo clamore di spalle

e d’ogni umore, versato in soliloqui

che sola sai da dove.

Ed ho l’arbitrio dell’ignorare tutto;

o prendere i bagagli da uomo innamorato

ed inventarmi in aria le sciabolate in fiore

le solide ragioni per dirti – bacio, ora

le guance tue di frutto vaniglia

le tue occhiaie, le scapole tornite

di nudità conclusa.

Ho un dono che riempie il mio letto

le mie ore, l’assenza certe volte che vuoi

lasciando l’ombra.

Ho il dono delle donne risorte, e delle pene

l’odore del sapone prima di coricarti

la piccola finestra su te da spalancare

lo sguardo tuo d’inverno

che mi farà migliore.

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