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Archive for aprile 2022

Posso contarti le vene

ora che sporta, sei come alla deriva

con la tua chiglia morta.

Eppure, come l’onda, il respiro non ha pace:

ritocca, prova il salto

s’infervora e incoraggia.

Mi pare di sentire dentro il tuo orecchio il mare

lo zolfo delle fonde catene

il cloroformio, di certi bottegai da strapazzo

e le sentenze, che un pesce non può vivere

sì a lungo via da casa.

Se ti stringessi forte

farebbe, questo amore

rumore di frantumi di vetro, una Venezia

costretta dal suo gioco imperiale a stare ritta

come un’adolescente che tiene lembi d’oca:

la gonna con la mano sinistra

l’altra un sasso.

Se ti stringessi forte, e lo sto facendo ora

sarebbe un risalire per lecci e per noccioli

bruciati dalla luna in un secolo passato.

Sei tu, questa farfalla di giunco

e questa vena,  il Rio

che attraversata l’America si frange

là dove il primo oceano fu fatto

a donna insieme.

* un verso di William Carlos Williams

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LOTUS FLOWER

In questo intenso verde

io sboccio da sfacciato:

leccatemi pareti e candore

sono un fiore.

Un fiore che cammina e n’affonda

ma poi trema, a quell’ordito

in luce perversa che è l’amore.

Lasciate che il diamante mi vesta

quando il sole

si corica da vecchio sulle fascine scure;

lasciate che di giada io venga

e succhi ancora,

il latte delle stelle pizzute

e il tuo clamore

di donna ubriacata di primule e di mele.

Lasciate che di eterno io odori nel mattino

lasciate questa bocca mia libera per sempre

che possa lei trovarla,

nelle più oscure pene.

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GRANDE

Grande è la semina, dare da bere agli orti

sostituire ponti a frontiere

è l’imparare

dividere il lavoro, e poi il pane che ne segue.

Grande è la sarta che cuce per gli ignudi

la mano elementare che munge

che fa scarpe, e accende il fuoco di fratellanza.

Grande è l’ombra

di gente piccolina di cui non si sa nulla.

Grande è la donna che crea ogni giorni sette

quando da viscere e ventre scocca un figlio.

E poi chi insegna

a indovinar se stessi in un libro, una matita.

E grande è chi carezza la mano agli ammalati

a chi li chiama per nome, meglio infante.

E grande è chi spalanca le porte dentro i sogni

chi parla con i morti calmando un po’ la pena.

Chi dedica ogni giorno corbezzoli all’amore.

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Ti tocco,

come rosa nella stagione amara

quando par morto l’aguzzo suo alveare

la gemma di l’altrieri, la spina secolare.

Ti tocco nell’inverno del ventre

il tanto amato, com’erba per conigli

la tenera, essenziale.

Ti tocco

come i piedi la terra a cinque anni

con piccoli rumori, di sassi, di cortile.

Ti tocco dove fosti abitata da chi segue

e porta il nome concio di questa nostra storia.

Ti tocco dove hai fame, e più giù

dov’è la vigna, l’ulivo coi suoi ossi

piegati via dal tempo.

Ti tocco dove hai male, così ti tocco intera

non lascio fuori niente, non fiori sul balcone

stai tutta in una mano se soffri.

Tocca me.

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