L’afrore delle pesche venuto dalla sporta
è questo il mio segnale d’estate:
lei che mena, la bici alla salita
con gambe affusolate
il fazzoletto con quattro nodi
e il gesto breve, di porgermene una
con fare malizioso.
Più tardi noi saremo battelli
e casa un porto, di acque più agitate
e poi quiete. Ma ora è il passo
lo zigomo veloce nel gesto di pigliare
la polpa come se gioventù mangiasse
e amore. E poi verrà lo scarto del nocciolo
e il tacere, la schiena come un campo assetato
e me, venuto, a graffiare con le zampe
le scorze già snudate.
Ché somigliamo ai gatti talvolta, un po’soffiamo
la diffidenza prima di chi non ha maniera;
ma appresa l’arte fine e suprema del donare
tagliamo l’onda senza ferire, parte a parte
così come la luce, che batte e frange, e schiva
si spande in acqua e germina cose, fitte, vive.