Le mie domeniche, rumore di saggina
l’ostinazione del vento sulle rose
sulle mie vertebre di ragazzino ai giochi;
magrezza che, a guardarla, l’avresti detta giunco
stelo di fosso, barbaglio di risaia.
Più tardi sarei andato con lui nella campagna
là dove cento aironi s’offrivano al sentiero
e dove pozze d’acqua vantavano purezza
ai piedi delle donne venute per cicorie.
Più tardi sarei stato un ricordo da scioccare
un uomo che ti cerca nel corpo martoriato;
cent’anni dopo almeno il tuo amore dilettante
e dopo, quello ancora da vivere, segreto
spuntato come un fiore sul labbro per stanchezza.
Adesso giaccio qui insieme a te, nella creazione
nel mantice di Dio, nelle rose prese a vento.