Ha dominato sovente il mio giardino
quella natura morta dei cigni sopra il lago.
Quell’eleganza del lasciar fare, l’erba
e quanto poi spericola la foglia
quando arriva, il vento più tagliente
che rotola da nord.
La nudità degli alberi per me
sa di preghiera, un canto
che si eleva dal fondo di una chiesa;
perché nella sua scarna presenza,
tutta scena, lei ruba a limpidezza di cieli
e alla possanza, dei monti sullo sfondo
giocattoli di Dio.
Sovente ho misurato il mio essere loquace
nel pianto del ciliegio, nell’orda della siepe.
Poiché come germoglio, io
spesso mi sentivo, qualcosa che premeva
per dare un frutto, voce: parola
la più dolce, che somigliasse a amore.