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Archive for the ‘poesia’ Category

SCRIVERE

Ogni mattina io affondo nell’eterno

mi bevo la storiella

che Dio ha creato il mondo,

il vento malandrino

che spezza collo e mani.

Ogni mattina il mio bavero è di paglia

e nudo più del grano raccolto

accendo un cero;

per questa umanità che ha scordato

del volare, fin anche la sua immaginazione.

E allora pensa,

sfregando quel birillo di zolfo,

a me, già altrove;

illuminato solo da ciò che, da me nato

non teme più lo zefiro

né i bardi del maestrale.

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VENTO

Vento di resa

mi mangi il cuore nano;

quello cresciuto a bottega

e alla campagna.

Quello che latra alla luna

quando ho fame, e smania

di procedere in te, assoluto amore.

Vento di sasso e di gerla

mio fantasma;

tu che dal labbro invisibile sorridi

e mordi con protervia capace.

Tu, mio soldo

col quale compro un litro di latte

e di fortuna.

Tu che modelli il mio capo da scultore

che drizzi sopra i seni suoi, mandorle

e buon’uva. Vento di canne di lago

d’erba Spagna, sorpresa

e sortilegio gettato a questo mondo

dall’alito venuto più adulto

giù dai monti, da oceani

le cui bionde carezze sono donna.

Tu vento dal mutevole afflato

porta via, insieme a questi anni

febbrili e stropicciati

quel che mi nuoce, ora, della malinconia.

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IN MEMORIA

Mio padre è nato vecchio.

Almeno io così lo ricordo, certe volte

che un male per la gamba

mi prende a stesso modo.

Mi son chinato ieri per terra

a frantumarla, a mettere del seme più giallo:

un bel domani. E ora pago pieno

il tributo alle mie ossa

a questa vanità petto nudo

e te davanti, là dietro la tendina

lavati i tuoi capelli.

Mio padre si sedeva nell’orto delle ore

pareva gli venissero i diavoli a giocare

 a mischiare le sue carte da briscola

e a parlare, di tutte quelle volte

che mandò giù in silenzio;

le umiliazioni avanti al padrone

o dal dottore, quando portava me piccolo

malato, colpevole di poca istruzione.

Si, già vecchio

io lo ricordo così, certe mattine

che di compiere gli anni

non gli importava niente.

Ciao pà, sarebbero stati 91 oggi.

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ASPETTO LE CILIEGIE

Aspetto le ciliegie

come i tuoi baci al Cine:

la bocca piccolina e confusa a poca luce

la polpa sbarazzina che eluderla

era gioco. La stessa fioritura

pur breve, straordinaria

frammista agli orecchini di giada

e a quelle perle, dei denti quasi acerbi

compiuti con il grano.

Aspetto le ciliegie

con gli occhi della neve

la fronte a dar possibile pioggia

e il naso fino, che sa la primavera

lontana due fermate.

Aspetto di vederle

poggiate alle tue orecchie

sul moro dei capezzoli, nude

e te felice, il riso più sincero

dovuto a età balorda. A un corpo

che par prendere già strade a noi straniere.

Aspetto ancora il perderci insieme

e non tornare.

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VOI, VI CREDETE ETERNI?

Riporto all’attenzione del mondo quel bambino:

la mela s’è seccata, morsa soltanto un poco.

Il gambaletto ha righe di fango, niente spighe

là dove l’acqua promette brevi soste

e crolli di miniere, di calcinacci e ferro.

Rimetto alla clemenza di Dio la bestia d’uomo

i suoi confini e il sangue di terra, i muri d’aria.

Rimetto alla coscienza di ognuno di lottare

perché noi siamo uguali, spuntati sopra l’erba:

lo stesso fiore ci ha generato, in meraviglia

tra due lenzuola in seta o la paglia di una stalla.

Voi che onorate la vita a gran parole

che giudicate sacro soltanto ciò che aggrada

che tace e non disturba, con le sue scarpe rotte

con quelle mani sporche che chiedono tre soldi.

Voi che spartite il mondo, voi

vi credete eterni?

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GERMOGLIO

Ha dominato sovente il mio giardino

quella natura morta dei cigni sopra il lago.

Quell’eleganza del lasciar fare, l’erba

e quanto poi spericola la foglia

quando arriva, il vento più tagliente

che rotola da nord.

La nudità degli alberi per me

sa di preghiera, un canto

che si eleva dal fondo di una chiesa;

perché nella sua scarna presenza,

tutta scena, lei ruba a limpidezza di cieli

e alla possanza, dei monti sullo sfondo

giocattoli di Dio.

Sovente ho misurato il mio essere loquace

nel pianto del ciliegio, nell’orda della siepe.

Poiché come germoglio, io

spesso mi sentivo, qualcosa che premeva

per dare un frutto, voce: parola

la più dolce, che somigliasse a amore.

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UN’ALTRA VITA

Per favore, un’altra vita

intesa come tempo, febbraio

e tutto il resto.

Non toccherò più i papaveri,

lo giuro, e aprirò gli occhi

immergendomi a quei doni

che sono l’acqua ricca, ed i gamberi

anche i sassi.

Adesso lo saprei come fare:

stretta a me,

ti porgerei la mela più acerba dell’amore

e imparerei a guardare la notte

il dorso ai pesci. La luce sugli oceani

quando c’è solo luna.

Un’altra vita, ancora del tempo,

perché – grazie –

io non l’ho detto quanto bastava

e mezzo mondo, ho qui

e voglio scriverlo tutto.

Un’altra vita

per dire poi a mio padre

che è stato un grande uomo;

e a tutto questo amore futuro

  • Prendi lei,

e scostale la pietra dal cuore.

Volerà.

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ADESSO

Te ne stai sola,

col labbro indaffarato:

saluti dall’Eiffel, sembri dire

e dopo ridi.

Non sai nemmeno tu

quando è stata la migliore

la volta che abbiam fatto l’amore.

Forse ieri, ma ieri era veloce

come uno spicchio in luna; veloce

come gli anni che ci hanno preceduti.

Non sai nemmeno più cosa dire,

adesso è spuma, quella che uscita di bocca

bagna il letto. Il tuo cuscino

è fatto di primule e fatica, di sangue rosso

come il vin santo. Adesso tremi

e dormi come pietra di fiume: disturbata

e levigata dove non vuoi. Adesso è presto

il sole ha fatto il giro del mondo

poi è tornato.

Non sai che ti ho pensata da amante,

schiena nuda, le vertebre fiorite

ed io salito in cima.

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A LUME SPENTO

L’odore trasandato di te viene con gli anni

le stoffe spiegazzate e divise;

a lume spento, a un’ora indefinita

perché non dormi niente.

È odore d’acqua ferma nel pozzo

un fiore viola, finito a remigarci

per incoscienza pura.

L’odore di una donna che è stanca

è un libro aperto,

la storia della ruota di pietra, delle guerre.

È uno stanzino freddo sui tetti di Parigi:

grammofono, foulard, e reggicalze appesi.

L’odore tuo che vieni c’è stato nel diluvio

sul monte più vicino agli dei

e alle mie mani, prima del vino alla tavola

e del pane;

prima del giglio toccato sul tuo seno.

L’odore della vita che sgrana i suoi colori

è quello di mia madre che non governa il cuore

è il tuo, che oscuri tutti gli specchi

e lavi via, la donna di trent’anni, con rabbia

e ritrosia.

L’odore dell’amore d’argilla ci commuove

ci fa venire in mente quei fiori tra i binari

la terra ribaltata

a cui abbiamo dato un nome.

L’odore dell’amore di sabbia è una canzone

s’incanta sempre al punto in cui il mare scalcia forte

e ci riempie in sale le orecchie,

gli occhi in pianto.

È odore delle quiete parole

e del dir niente, un’autostrada calda

diretta sul domani.

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