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Archive for dicembre 2013

LETTERA AL FIGLIO

Forse ché un dio non t’ho dato
a farti domo;
compagno di quel vivere in gioia
o d’illusione.
Ma mi ricordi i giovani uccisi in tante guerre
con il berretto
e il fregio più triste a farti scuro
quel bel faccino da melograno che hai serbato.
Forse che un’orazione perfetta hai mai imparato
ma la dolcezza d’una coccarda, rosa pura
dal mio giardino colta per la ragazza prima.
Fragilità e candore indossati, baci a stento
sotto ai cancelli prima del treno.
Vivi in luce
tu che a crearla fosti chiamato in quel di marzo
mentre di fuori pioggia aromatica su Roma
la denudava come una sposa, figlio caro.

per i 18 anni di Davide

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CAPOLAVORO

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UN ALTRO INVERNO

L’inverno è tutti quanti nascosti gli animali
la fragile pianura del mantovano, l’aria
incinta di elettroni e di acqua.
In riva al Mincio
con un fucile fatto di religione morta
le orecchie troppo esposte a metropoli confuse.
Mi rigiravo in bocca l’idea di stare altrove
al terzo piano, lato sud ovest
tu, dormita, vicina al turno primo di fabbrica.
L’inverno
la fissità del bianco piovuto dai lampioni
le poche mie camice lavate e da stirare
in altro tempo, altre dimore.
Il sole basso, colore delle arance da spremere
e poi il fumo
la legna non ancora da mordere.
E i mercati, le donne dietro pigne di scatole e pigiami
vestite fino a perderci il senso, e anche la luce
nel cucinino un metro per due
l’acqua sul fuoco
il vetro col vapore per scriverci il suo nome:
il primo amore mai dichiarato
un altro inverno.

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LA VITA SEGRETA

Tornare a poca luce,
quando il mattino è acerbo
e asprezza d’aria scava le vene.
Giù, alla gola
l’amaro di un caffè fatto lento
il tempo assiduo
di quel dovere tanto osannato dai miei cari.
Mentre piroghe date alle fiamme ho qui
nel cuore, e desiderio di nudità;
tanto che folle
giudicheresti questa mia ira d’incontrare
là dove scura e più vivida ferita
ancora sa del dolce delle ricreazioni
e dell’inganno d’aspide e mela.
Sia felice
colui che chiamò amore
questo delirio osceno.

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CARTOLINE

Capaci si di farmi esultare, quelle bestie
le bestie pigre e angeliche in cortile.
L’ armonia
del ruminare, fottere e mordere
morire.
La polvere del solo deserto a me concesso:
campagna del bresciano
dove il moscone stride, la rondine tra fili magnetici
le vespe, sul glicine e sul fico
col latte suo più acerbo.
Capaci si di farmi esultare:
quelle gambe
le gambe nude della cugina sopra il fieno
il sempreverde sotto il cotone
abbozzo il seno. Torace come prugna novella
da succhiare.
Capace a fare folli le sere: il gran silenzio
dell’erba morta ai fossi asciugati
i grilli sciocchi
che non han più coscienze da tormentare, infine.
Capace d’esaltarmi le vene: il vino rosso,
rubato alla vigilia del sonno per far sogni
oscuri e meno oscuri
o forse farne niente.
Cadere come un sasso d’inerzia, fino al giorno
che tira le sue tende tra gli olmi
e ho cinquant’anni
e l’eco della cagna che abbaia a qualche d’uno.
Forse il postino a cui dire grazie,
per notizie, e cartoline da un altro mondo
quello ieri.

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LA BOCCA

Ma si, che il mondo a due qui ti cerco
e la campata
sotto la quale un bacio mi fu rivelazione.
Sapore della bocca è l’accedervi in agosto
come si fa alle fredde fontane dopo corso
e indietro ritirati i capelli, il cuore in fiamme.
Sapore della bocca è il Natale dei tre anni
il piatto sul balcone e il bicchiere
si sa mai.
Sapore delle tue malelingue, ti hanno vista
la mano nella mano ad un altro.
È ricercarti
come tra l’erba il ciondolo perso
averne cura, fino all’inizio delle parole
e del sorriso.
È entrarci con la luce che viene , quando preme
tra costole e polmoni voliera dell’amore.
Sapore della bocca tua secca quando è vento
è pietra levigata e ferrosa, ma mi piace.
Sapore della bocca tua umida è una notte
disteso sulla barca diretta alle balene;
per carezzargli il dorso e sentirti gli anni addosso
venuti come niente
ma facili, leggeri.

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DA CARI AMICI

http://asfodelo50.wordpress.com/2013/12/05/in-quei-minuti-massimo-botturi/

In quei minuti

un abbraccio grande

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ALICE

Mi son distratto più di vent’anni
e lei è cresciuta.
Non c’è più il monte fatto di sabbia
il mare è andato
a farsi un giro in terra dell’India
o chissà dove.
Mi sono perso dietro a un’informazione errata
al mondo fatto a rate, marcito su in soffitta.
Adesso mi ricordo soltanto le sue mani
la spiaggia era un giardino di pesci
e noi aggiustati, un po’ alla bell’e meglio
su asciugamani gialli.
Dev’essere successo dopo mangiato bene
dopo il bicchiere ultimo, il bianco
quello buono.
Passito, o come cazzo si chiama.
Ho perso il meglio
mancando di portarla alle giostre
ed osservarla, nella sua fissità di bambina
gioia acerba.
La presunzione delle peggiori
essere eterni.

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