Posted in poesia on ottobre 14, 2013|
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Acqua, acqua.
Acqua.
Cenacolo del tempo che leviga, che nutre
acqua scura
delle mattine ghiacce d’inverno: mamma preme
mi rinverdisce con il sapone, azzanna
sfrega.
L’agitazione è un grande mastello, l’eco impasta
e sono su una zattera fragile là in Cile
o in India quando s’alzano le gambe dei monsoni.
C’è l’acqua bionda insieme agli amici
i fossi, i fiumi
la scossa delle carpe in amplesso, le nuotate
tastando il fondo palmo su palmo.
L’acqua verde
di mille e più smeraldi perduti dalle donne
le lavandaie in fila a dar schiaffi alle lenzuola;
chinate sulla pietra a cercare il volto puro
segnato dall’amore di schiena, e poi dai lutti.
C’è l’acqua rossa delle catastrofi, e dei mirti
la scolatura dei macellai, e la prima volta
la goccia che la rende rubino del tuo sangue;
le dita mie che omaggiano Venere, il tuo si.
C’è l’acqua gialla delle campagne a mietitura
e quella trasparente negli occhi al primo amore.
C’è l’acqua azzurra in bocca all’amante,
e poi alla figlia
la rosa che profuma di sesso, l’acqua in me
che s’agita se tu torni tardi.
L’acqua argento
dei minatori e dei lavoranti, l’acqua d’oro
se con la mano stringi una foglia,
l’acqua insonne
se nuda non ti scaldi al mio petto.
L’acqua buona, la bocca al rubinetto nei parchi
l’acqua tua, che sento con l’orecchio alla pancia.
L’acqua,
l’acqua.
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