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Archive for febbraio 2015

YOU AND THE NIGHT…REPRISE

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YOU AND THE NIGHT AND THE MUSIC

Quest’ora sincopata e magnifica
la mia, coperta d’ambra ed asole rotte;
il becco infame
dell’orologio a muro alla vecchia sua maniera.
L’ora acerba
che manda esalazioni di terra ed erba salvia
l’ora che scrivo e mi pare tu sia mia
lontana un cuore e mezzo da casa, nuda un quarto
nei polsi solamente, e nei piedi.
Te, assopita
in quest’ora benedetta in cui faccio figli e amore
togliendoti dagli occhi la storia che vien giorno
e due corsie per parte di ruote e carburanti;
e aironi che ci spezzano il brutto dei fanali
di quei cavalcavia tutti anonimi e bagnanti.
Quest’ora fannullona e perfetta
per capire, e per sciacquare gli ultimi piatti
canticchiare
giocando con il sesso nascosto
un po’ svilito.
Quest’ora della Holiday grezza, dei vinili
impolverati e messi di sbieco, l’ora grossa
di gente col badile per strada e niente in tasca;
l’ora che certe Osterie meglio lasciarle
come le fantasie un po’ malate, e il desiderio
dei fianchi tuoi tenuti a riposo.
L’ora zitta, che tiene un brano all’altro
con fili di cotone, con certi suoi respiri di pancia
petto avanti, le gambe accavallate
e le calze mezze rotte. L’ora gentile della vicina mora
il tappetino steso al balcone, i suoi capelli
colore della notte, qualsiasi notte vuole.

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LUNA

I Fotolavori di Stephy

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Più grande delle cose terrene, e quelle in cielo

dei continenti e i fianchi d’oceano;

più dell’aria

del sciame di libellule in danza

più del pane, moltiplicato a nozze di vento.

Più del lupo, della sua fame lenta e del canto

che taglia in due la notte più chiara.

Sei tu, Luna

che tanto un volto puro di donna mi ricordi

le sue lusinghe, e il battere forte

qui, sul cuore.

(Massimo Botturi)

Foto mia

Parole di Massimo

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GLI OCCHI

Quest’occhi di sentiero di bosco, di peluria
di noccioleti del mantovano
occhi fratelli
dispersi via nel mondo piccino che ho imparato.
Quest’occhi appresso a una ballerina
occhi in piedi, alla buon’ora
e basta una scossa
un tuo pensiero, un colpo in tosse
forse presagio, un tuo lamento.
Occhi distratti
perduti alle collane delle impiegate al Bar
occhi rapaci e lenti a fuggire
occhi da vecchio
che perdono la coda alle lettere, ai colori
ai movimenti fatti di fretta, al microcosmo.
Quest’occhi mai staccati da terra
illusi, infanti.
Quest’occhi che la febbre li ignora
miei signori
se nel cadere presso di te non hanno male
ma inserti di delizia e contemplazione pura.
Quest’occhi che non levano niente alla bellezza
quest’occhi fungo atomico alla schiena delle donne
al collo nudo come il cotone, come il vetro
come la pelle senza martirio
senza niente.
Quest’occhi pasticcioni a mentire, a stare zitti
quest’occhi di pigrizia e candore
gli occhi belli, di mamma, e quanti m’hanno poi preso
amato, odiato.
Quest’occhi che il mattino migliore è quello dopo
domani, e poi domenica, e ancora
mille volte.

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UP AND DOWN

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BLU

Blu,
come è già tardi, annotta a breve.
Ho qui dell’anestetico triste
amore, vieni
con la tua gonna blu di flanella
togli al mondo, quest’ansietà di giunco sottile.
Baciamoci finché siamo in tempo, perché blu
sarà il mio giorno, qui, se tu compari;
un blu Pantelleria a mezzanotte
Atene, Oslo, nel boreale gioco di specchi.
Un blu sontuoso
apparecchiato come a dicembre le vetrine
le sale da biliardo, da ballo
o forse amore
fatto con venti candele e una che ride
del corpo mio spezzato e precoce
blu, fangoso.
E Blu voglio le rondini ingenue e scapestrate
le loro agilità tra i cavi d’alta tensione
le mie mani
per troppe ore immerse nel calice del cielo.
O Blue, come la volta che Miles flirtò con dio
tra i vagabondi delle nottate
tra le donne, uscite a pettinarsi i capelli sul balcone.
E blu è quando vieni di testa, e poi di pancia
è quando tutta l’aria si beve quel che resta.
È quando fermi l’auto davanti a un funerale
un gregge, o a una che hai conosciuto
e ti fa sangue
mistura di piacere invasivo, caldo in petto.
E blu è la fiamma sotto il fornello,
sediziosa,
cinque e quaranta e ancora non è impazzito niente
e un blu profondo piscia sui tetti, sulle strade
e un blu leggero è quello che metti
oggi riunione.
E Blue è Joni Mitchell, la mano sulla coscia
il finestrino mezzo abbassato
e io sto bene.

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TI LAVERO’ LE LABBRA

Ho venti arance
già pronte nella sporta per augurarti il bene
la foto del ciliegio lo scorso aprile,
dentro, mi urla un bimbo
e tu non lo vedi.
Ho pronto il bacio.
Ti laverò le labbra mio amore
per la notte
ti laverò le labbra col latte dei miei fichi
con l’acqua delle mie convinzioni.
Lascia fare
se vengo innanzi a te come a un melo bello pieno
tu lascia che mi tolga il cappello
e il pianto pazzo. Ti laverò le labbra
e nient’altro, lascia fare.
Ti laverò le labbra
con cenere e sapone
coi giorni del bucato, del piscio sulla neve.
Con tutte le mie orecchie gelate
e niente guanti
col buco nella tasca, il pene eretto e il fiato
di quelli che mi dai appuntamento.
E anche domani
ti laverò le labbra come si fa la pace
la macchina del tempo e dei riccioli cresciuti.
Ti laverò le labbra nascoste, le speziate
le quattro fisarmoniche d’aria
fronte retro.
Ti laverò le labbra, mio amore, lascia fare.

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VITA

grazie Stephy…

I Fotolavori di Stephy

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Quello rubato, il giovane, aperto

il più carnale.

Il mio, deposto a scaglia di cuore

il mio per te

tenace come un cappio di stelle

il mio dipinto, bagnato

fatto in sangue di terra.

Il tuo, labiale

il tuo nudo di figli e di acqua

il tuo veniale, da penitenze forti

e inconcluse.

Il sacro fiore

la legge della pura ignoranza

vita solo, catapultata a gozzo di pietra

contro il vento

la mano rozza e il piede fardello.

Vita, solo.

(Massimo Botturi)

Foto mia
Parole di Massimo

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LET IT BE

Dovesse mai sfuggirmi la morte,
falle un cenno,
proponiti di labbra e mascelle.
Te vorrei
fossi la cagna dolce chiamata per mangiare
per mordere il boccone di queste magre occhiaie.
Te, capace.
La lingua nell’orecchio mio stanco
il pieno d’erba, di musica
e fantastiche prediche di donna
quando poggiata al ventre dell’uomo
si fa sua
e insieme universale bellezza.
Tu, e un ragazzo.
Il figlio che di tanta fortuna noi cingiamo;
tu e la ragazza fatta con l’ali
la pernice, l’allodola e la bocca che ride
quando sale, dal vomere di sua conoscenza
un’altra storia, un’altra foglia
un altro colore.
Si, perfetto
tu chiamala e proponiti tutta, ti do un osso
reliquia non ne fare
ma tienilo in un campo.
Un giorno un ragazzino ci coglierà dei fiori
con dentro zolfanelli di me
spicciato, fiero.

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ROSA

Rosa è un confetto
un grembiule da risorti.
È il naso di mio padre nel nettare felice.
È l’ozio di una donna che chiude, e poi si apre
cesellatura d’una bellezza troppo fine
per quelli abituati a venirci dentro in fretta.
E rosa è questo ventre pulito, mentre nuoto
e sembro un fiore perso dal velo di una sposa
e rosa è anche la sposa e la voglia sua furiosa.
La cipria della prima disfatta, e poi novembre
quando per troppo piovasco crolla il cielo
e viene poi un sereno epocale
pigro, breve
un rosso via slavato che tanto fa prurito
e freddo per le gambe che tocca carezzarle.
E rosa è la tua bocca malata, il labbro secco
quella pastiglia tanto discreta ma animale
che tagli in due la sera e mattino.
Rosa è il mondo
delle bambine ricche e felici; rosa, altrove
è solo un fenicottero uscito dal creato
un gran capolavoro di dio e della natura.
E rosa è la tua lingua di febbre da succhiare
per dirti che sei meglio di tutto, e di una rosa.

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