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Archive for luglio 2013

ADDIO A OGNI COSA

E come due obbedienti, poi sazi
rincasiamo.
Abbiamo avuto tanto nei piatti
due portate
e quel sottile filo che cuce i tuoi ricordi
col mio volerti ancora felice,
anche più piano.
Senza il clamore troppo svagato dei vent’anni
ma pieno di quei piccoli gesti che, sappiamo
ci possono toccare più a fondo e anche meglio
delle animate e rosse passioni
in certe estati, che ci bastava il nudo e l’offerta
l’ostensione
di mezza luna uscita dal nulla.
Si, restiamo.
Restiamo ancora un poco in balcone
scende il nero
che già prepara pioggia domani.
T’alzi e dici
che nulla può ferire in serate come questa.
Il tuo vestito appeso è delle migliori annate
le scarpe fuori
e luce ai parcheggi.
Il fiume è sveglio,
poi ci facciamo qualche carezza
e addio a ogni cosa.

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LA NOTTE CHE MORI’ FEDERICO

Un alluce di luce segnava, là per terra
il fatto che s’alzarono tutti
ma diversi
dal solito menare al lavoro.
Fuori, il cielo
grattava l’ossa al bordo degli olmi
niente grida
né vento transitorio da Hollywood.
Soltanto
la faccia della luna struccata
là nel mezzo
come una vecchia insonne che pela le patate.
La notte che morì Federico venni grande
antifascista e cardiosensibile
ma nulla
gli chiesi sul perché tante foglie vanno a male.
Del blu improvviso sulle sue labbra
del silenzio
scolpito ad arte e poco compreso.
Si, la notte
si palpeggiava i seni per essere tranquilla.
I figli si voltavano altrove
gli occhi lustri.
Vent’anni dopo ancora si staccano dal muro
come farfalle in cerca di fiori,
di campagna.

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FORSE AMORE

Per anni ho avuto niente davanti,
solo l’erba,
e l’aria che arrivava dal lago
come il grano, i tori di Vicente al mercato.
Anni di canti:
mio padre alle osterie guadagnava da mangiare
io mi ostinavo ai seni di Venere, giù a casa.
Per anni poi ho lavato i miei gomiti e i miei piedi
prima di navigare un lenzuolo di flanella;
nel lino appena colto d’Egitto
dentro un fiume
dove i ragazzi faccia pulita fanno il morto
aprendo bene gli occhi tra il sole e i suoi vitigni.

Per anni ho maneggiato con cura questo corpo
portandolo talvolta nel limbo dei felici
e gli ho insegnato a farsi contratto
rispettoso, entrando in una stanza di chi poi andava via.
Per anni tribolati e contorti in bocca il sale
la sabbia solleva dal vento
l’acqua azzurra, che tutto cheta e mai non bestemmia.
E poi ho sorriso
ho preso moglie e un pezzo di mondo.
Ora è dei figli, e il mio bastone ho qui
tra i ginocchi
stesso sguardo, nessun recinto ho dentro nel cuore
forse amore.

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Lei tiene le finestre
come la gonna il giorno
sparpaglia sul basilico rotondità felici.

L’odore delle pesche millesima il bagnato
Giovanni, ch’è già fuori a fumare
ci saluta.

Si gode la sua morte migliore
in questa ora
piena di scricchiolii e di silenzio

di sostanza,
e calma inaspettata
da donna americana.

La fiamma dal beccuccio del gas è boreale
è un sibilo diretto alla prora della casa
è attesa di balene

che abissino la strada,
il mare ha rotto gli argini a notte
e io ne ho voglia.

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