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Archive for settembre 2022

SENTO TE

Combatto questo orrore con il sorriso e i denti

col bordo del bicchiere umettato di saliva

la tua, mia donna cara; che certo non t’importa

se porto braghe corte e gambali. Io m’arrangio

trainando la mia bici con le sportine piene:

arance, qualche pane di scorta, e mille sguardi

a quella tua finestra sbiancata di calcina.

Combatto questo orrore terreno con me nuovo

e riconosco il miglio d’uccelli, il loro canto

che fa la seduzione una grazia; sento l’erba

che cresce e brucia avida il bere. Ascolto il mare

che frange al campanile credendolo uno scoglio

le onde volitive bambine farsi grandi

e poi chetare all’ombra degli olmi. Sento te

il piccolo catino dove riposi i piedi

il seno d’educanda che sembra per sbocciare.

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RISVEGLIO

E’ la coscienza pulita che fa il sole

la tazza del mattino, il bussare delle rose.

Vivo in costante ricerca dell’amare

la luna obliqua e il gatto alla corte;

il tuo lenzuolo, che quando non ci sei

sa di mare, salsa, e grano.

E quando avvolge il corpo felice, lo scolpisce

in cento pesci rossi e lucertole sull’aia.

Vivo lo stato di grazia delle mele

attendo la tua mano allungarsi, e poi la bocca.

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UN BALLO LENTO

Il primo ballo lento ti rivelò la schiena

le vertebre contate come a una rosa spine.

L’afrore del sapone, quello da poche lire

la spazzola passata con cura tra i capelli

soltanto poco prima, la bianca carnagione.

Abbiamo atteso insieme la vespa dietro il vetro:

il volo ha cancellato un silenzio imbarazzante;

mettendo quarant’anni tra noi e la stessa casa

la stessa mattonella di sassi levigati.

E un oratorio donna compiuta da abbracciare.

Ché sai ancora di buono, di pranzi alla rinfusa

e cura d’aver bocca di viola, o menta essenza.

Io spero d’aver fatto la stessa tua figura

cambiandomi la maglia, non certo le parole.

40 anni con te, un privilegio

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MEDITERRANEAN BLUES

Alle lusinghe ed ai vizi, a tutto cedo.

Che pulsi di grintoso animale questo cuore

si insozzi della sbornia marea, non ho più tempo

di imbellettarmi come una scimmia; voglio i sensi

al limite supremo di questo corpo in fionda.

Che mi si scagli su te, donna superba

la nudità è il migliore gioiello, e poi ne beva

di più là dove il giglio fiorisce: ho lingua astuta

sottile come il nuovo trifoglio. E poi ne tasti,

con l’indice e col piede, le cavità evolute

le mante, e le cipree, dei seni le delizie.

E possa poi sentire le onde ai focolai

il lento lievitare del pane per ciascuno

le pletore del legno che passa a miglior vita.

Così come i tuoi golfi di ascelle, il fiato luna

di quando hai masticato l’amaro dell’amore.

Datemi il canto, poi infine, che le sale

come una salamandra dal pozzo, quando gode

la musica dei cedri svezzati sottovento.

La voce delle madri del Mar Mediterraneo

che piangono pei figli del mondo. Alle lusinghe

ai vizi e a questa disperazione, a tutto cedo.

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EDEN

Mi trovo a desiderarti

come il pane dei conventi;

come i miei anni da giovane, i più ingenui.

E indosso quel colore degli imbarazzi pieni

se t’avvicini a voce di cuore, non sapendo

che il mare le conchiglie le lascia innamorate

milioni e poi milioni di anni, sì che un giorno

i figli scaturiti dal nulla l’udiranno

e troveranno il primo degli uomini, la donna

il gusto della mela proibita, il senso a cose.

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