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Archive for luglio 2022

MAI LONTANI

Ho faticato l’occhio, le gambe, e tutto il corpo

cercando di trovare nel cielo il latte sacro

le stelle sparse come granaglie dell’infanzia;

ma non ho visto mondi perfetti, né misteri.

La liquerizia delle nottate è merce rara

di questi tempi amari con troppe luci accese.

Allora ho calibrato il sestante nella stanza

e ho inteso seni nudi fuggiti al sonno fondo

la bocca aperta piena di baci e di parole

e il tuo diaframma come la Terra: due sussulti

e poi gran quiete, e via nel ripetersi.

I tuoi piedi, due sassi bianchi nella sterpaglia.

E un gran dolore, m’è preso faticando nel passo

tale in me, tu sei come il peccato d’origine.

Tu aspiri, ed io rilascio il soffio seguente

mai lontani.

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SAGRATO

Tu credi che il silenzio rivesta le mie estati

l’infanzia alla campagna dei quattro padiglioni;

là dove rare e scarne dimore a vista d’occhio

tenevano nel cielo le rondini impazzite.

Non sai di quello scarto dell’acqua dalle sponde

canali senza nome né gloria, ma lavoro, continuo

senza santi né feste comandate.

Non sai del tarlo muto e del ratto uscito a notte

di poche rane avvezze al gomitolo di canne.

Non sai del suo respiro infiammato dal buon vino

delle parole rade, e confuse, dentro i sogni;

del campanile scosso ad ogn’ora, e il lento andare

dei bovi con la testa chinata ad erbe secche.

Tu credi le mie estati fanciulle un libro chiaro

lenzuola stese e bianche caviglie, un sole cieco.

Ma il color morte al fitto dei rovi non conosci

la debole carcassa di un gatto sfortunato;

la serpe che sorride nei prati alla paura

di noi paesani molli e un po’ tristi. Questo e altro

mi va di raccontarti, ora che tutto è andato

lontano quanto il marmo che generoso imprime

il nome degli zii qui vissuti. Abbiano pace

là dove calde messi si colgono da sole

con le tovaglie sempre nettate, e nessun morso

può più fragilità reclamare. E voi, mio bene

creature più celesti del puro, minerali

materie d’acqua e fiori campestri;

fate segno, e lume a questo buio precoce:

tanto v’amo, che il sangue ancor mi ride bambino

 corre, esulta.

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BATTIGIA

La vedi quella nave, laggiù

nella sua forma?

Sta tutta in una mano se ho voglia di giocare.

Ricorda un poco il bove sul prato dell’infanzia

la testa grossa, china, a cercare del conforto;

così come la punta di ferro fende l’acqua

il sale lì nascosto più denso.

Ah, mio amore!

svegliarsi con il tarlo dell’onda piccolina

premuta sopra i sassi, come una ragazzina

che pianta nella gonna alla madre il suo capriccio.

Farla tacere un attimo e immaginare il grano

il suono della pelle passandoci le dita;

il gemito dell’apice caldo. E poi tossire

distrattamente a un primo caffè

mentre ti giri, e non ne vuoi sapere del giorno

e altre sciocchezze.

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VALORI DI RIFERIMENTO

No che non voglio saperlo il mio buon sangue.

Se il canto di un uccello potrebbe soddisfare

o il pasto di una fiera affamata. Non importa

avrò del vino vecchio lì dentro

e molte gioie, e tutte le correnti di un fiume

coi bastoni, le pietre levigate e muschiate.

Avrò un po’ te, la meraviglia quando ti ho vista

ed eri nuda, come la prima pianta creata dal Signore.

Avrò duecento lire per un cremino, e biglie

le figurine dei calciatori, e un po’ di Bach

tritato insieme a porri e fagioli. Avrò del miele

qualcosa troppo dolce da scrivere, e tre accordi

per fare la canzone del sole, e dopo click.

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SCINTILLE SULLA CURVA DI GAIA

Qui tutto accade a viole e dispense

litigio della mano che presuntuosa assale.

Sapessimo nel cuore che nulla ci appartiene

staremmo sulla chiglia di un’umile barchetta

a far fotografie di una bella al sole, o a Orione

e aspetteremmo agosto nei giorni di caduta.

Scintille sulla curva di Gaia. Vecchie glorie

accese per l’innamoramento, o i desideri

quelli reconditi e quelli terra terra.

Come vederti un mattino sciolta e nuda

venire vecchia quando è il suo tempo

pur maestosa. La rosa nel suo corso d’infanzia

non conclusa

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