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Archive for gennaio 2023

HO DATO TUTTO

Un tempo le brinate coprivano ogni cosa

avevo il collo tenero, protetto con calore;

e gli occhi come i gatti

che vedono anche al buio.

Col mio giornale alla pensilina,

insieme ad altri,

ci si contava il proprio dovere

stando zitti.

E quando i fari lunghi della corriera prima

bucavano la nebbia bastarda

un altro sguardo, gettavo a quella casa

dove tu ci dormivi; ignara della grazia

che avevi per i fianchi

e del mio desiderio inespresso.

Tra i paesi, a volte poche luci

mi davano conforto: guardavo le stoviglie

sui tavoli, e le sedie

scostate per un primo caffè.

Popolo inerme, col segno della croce

a giustificare il pane,

l’amore rimandato alla sera, se veniva

la voglia e anche l’ispirazione.

Ho dato tutto.

E tu anche più di me, lo senti ancora

il puzzo del gasolio e il rumore di ferriera?

A volte per cacciarli ti dormo sopra il seno:

la donna spezza tutti i sigilli

e solo miele, mi prende forte al naso

e il cuore si consola. Lo puoi sentire ridere

appoggiati, tranquilla.

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ACQUE

Sei come quelle foglie che chiudono

prudenti, al tocco e più allo sguardo

Calpurnia delle siepi. Fatica

è questo incontro di corpi aggiudicati:

il ferro s’è corroso là dove ci piegammo

il limite intuito ha spostato un poco i baci.

Per acque generose giocammo gli anni interi

puntando verso rocce più bianche di Alicante.

Adesso che scoperte le stelle, le leggiamo

a palmo aperto insisto, e tu insieme

l’aria è buona, l’abbiamo profumata

dandoci in pegno interi.

Se apro io per primo le palpebre il mattino

tu come un grande banco di pesci

segui il giorno,

nutrendo questo starci un po’ in ombra

nei pensieri, nel torto che il Dio Crono

ci mette sulle spalle.

Ma è quando l’adunata di lucciole si smorza

che ritroviamo luce spontanea

ed avanziamo.

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SEGNI

Lo fa per dissetare la mano,

oltre la gola,

la nebbia del ricordo là dove lui dormiva.

Lo fa con questa pelle che non si lava bene

che trama le sue pene lasciandone confini

muraglie, crespature invadenti.

Lei, mia madre.

Contiene la caucasica cera del pallore

le guance rosse quando ha vergogna

e compie gli anni, nascosta

dentro un letto più grande della luna.

Adesso poggia piano il bicchiere mezzo vuoto

le onde da agitate si fanno via più calme;

ha bagnato il comodino, ma cosa può importare?

Lui lo faceva sempre: forse la stessa mano

ha preso agitazione nel bere, forse Dio

scappati tutti i sogni ha mandato questi segni.

La tenda che si muove seppure non sia vento

lo sterno che ora duole perché qualcuno muore

il suo orologio come impazzito.

Oppure niente.

È l’immaginazione che prende i cuori soli

la sera, nel silenzio, la porta chiusa a chiave.

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CASCA IL MONDO CASCA LA TERRA

Credo conoscere la pena del soldato:

poggiato il mento alla terra in dolce sonno

per tutto il corpo m’è trasalito il moto

la spinta delle sorde radici, e poco oltre

disseminati fiumi d’azzurro.

Vita, dunque, è tutta in un sussulto di rose

un fiotto in sangue,

che dalla bocca di fiume giunge ai porti

all’uscio delle pietre e alla neve silenziosa.

Credo sapere la pena del soldato

che guarda il cielo come caduto

un mare verso, fatto di onde di vento

e di visioni. Di volti

che vorrebbe tenere tra le mani

sentire respirare d’urgenza:

un caldo grano, acceso nella fame d’amore

mentre il cuore, si getta stanco in case d’infanzia

e lì vi muore.

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