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Archive for settembre 2021

I PIEDI DURI DELLA RADICE

Sei pallido mi dici.

Sarà la prima luna

o il modo che hai di metterti da sempre controvento.

Tu che conosci il frutto del ventre ne hai ben donde

ché un figlio è come un albero confitto alla memoria

i piedi duri della radice, il cuore molle

svagato come gli innamorati.

Mangio, certo

a volte mi concedo peccati anche veniali

piaceri che ripagano, brevi, un corpo stanco

digiuno delle brezze che Donna sa calare.

Ma ho avuto molti giorni felici, ho bene in mente

son come la saliva che m’umida la bocca

ai tuoi sapori semplici di fine settimana;

a quel ricordo dolce del viso suo riflesso

sui vetri della Metro, ancora sconosciuta.

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PRIMA DI CASA

Dopo il secondo spruzzato era il futuro

cantato come un coro dagli operai dell’Alfa.

Dal tavolo all’estremo cantone, fino all’uscio

là sulle cinghie di gomma sballottate

nervose di corriere velocità del suono.

Prima di casa era un pulpito maestoso

coi gomiti sul banco spugnato mille volte

la foto di Rivera con dedica, e il pallone

tenuto in una teca neanche fosse d’oro.

Prima di casa s’andava giù di Spade

Bastoni e Coppe, pochi Denari;

quelli sempre

nel piagnisteo di un magro contratto

o là, segnati:

negozio a fine mese, l’affitto, due galline

donate dal cognato votato alla campagna.

Quanto malore nel fondo del bicchiere

nel buio delle bocche con denti da aggiustare.

  • I tempi di una volta non li rimpiango mica.

Diceva mio papà, ma poi si commuoveva

poggiato al suo bastone con la fatica boia

soltanto per andare a pisciare in un cantone.

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AD OGNI TUA PENSATA D’AMORE

La curva dei tuoi fianchi s’è modellata al tempo

ci manca un uccellino per farti una fontana.

Ad ogni tuo rimando di aria nasce un giorno

una mammella pronta all’infante

un lavatoio.

Ad ogni tuo sospiro dei sogni sei Venezia

Dakar col sole a picco, la sete di Ragusa.

Ad ogni tua pensata d’amore mi consumi

divento come l’albero che frutta e si fa male.

Ad ogni tua pensata d’amore faccio chiaro

davanti ai piedi, fino al sentiero.

Tocco il grano, le foglie al melograno

e la gonna alle signore.

Ad ogni tua pensata d’amore

io ti scrivo.

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OMAGGIO A CESARE PAVESE

Ma noi

che abbiamo il fumo degli orti di campagna;

cosa ubriaca a guardare questo azzurro

questo gran piovere che ci stramazza il cielo?

Son pozze mica buone alle bestie, san di sale

lingua di vacca alle guance. Che ci prende?

Son nude fino a farci un po’ rabbia ora le donne

beate in quel bel tempo fissato che le inganna:

la pelle come i fichi maturi

il frutto acquoso, che quasi puoi palparlo

e poi chiedere perdono.

Ma noi

col vento delle officine, e le bandiere

andiamo a cercar cosa qua in mezzo tra i pietroni?

L’infanzia forse piena di risa

o un ché d’amore, tra due cicale e sedie divelte

il suo bel seno, le imposte più accostate

e la polvere al comò.

Un corpo ancora giovane capace di follie.

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