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Archive for agosto 2019

LUCE

Misura lo spessore dell’ombra
là, sull’erba.
Se puoi tocca la mente degli alberi, la forza
che spinge il fiore dentro la pietra.
E dopo dimmi:
qual è l’acqua migliore bevuta, quella allegra
dei sodalizi adolescenziali?
O la più calma
adesso che davanti a un buon libro ti commuovi?
Potessi fare leva sul modo, darei carne
e ossa come pegno ai tuoi mali.
Ma è la sabbia
a cui più somigliamo nell’universo intero.
Generazioni e vento ci toccano. Voliamo
non conoscendo quota e destino
dolcemente, color degli aquiloni qualcuno
o solo luce.

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LITTLE GIRL BLUE

Sebbene la mia vista risenta dei cent’anni
il ventaglio della luna stasera è proprio seta
emana un’aria fresca che sa di drogheria
poltrone di barbiere, sambuca nel caffè.
E tu, vestito corto, ricordi la campagna
il grano alto ancora da mietere, peloso;
cristallo dove l’inguine nudo si produce
in suoni come d’alberi in quota.
C’è anche un treno, il taglio dei container
sfiora la testa ai galli
tra gli orti si consuma l’amore di due bisce
e il gelsomino
s’aggrappa alla cisterna dell’acqua piova ieri.
Veloci come il verbo godere
andiamo avanti, nessuno si fa lupo a quest’ora
è mezzanotte, la bella Cenerentola ha bruciato i copertoni.
Codazzo di vocine, come di suore al mare
risale dal Comune col Cinema sull’aia.
La strada è un anaconda che dorme, un vecchio fiume;
c’è un blues che prende male alla radio
più intuizione, ma orecchio fine e buona memoria sanno il vero
è Janis con la sua cartavetro, triste un grammo
sicuri, come il fatto che adesso è già domani.

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VERSO IL SONNO

Adesso dorme forte, le gambe rilassate.
La bocca semiaperta come chi sogna il mare.
Così, leggero il meglio possibile, uscirò
camminerò sull’acqua fin quando ne avrò fiato.
Perché di questo mondo non lo saremo sempre
e voglio ricordarmi di quando ero bambino
senza costume e sandali duri, nel fossato
ad occhi aperti sotto il pontile.
Fango e rane
perché solo così io mi sentivo vivo
sporcato delle cose che odorano e fan storia.
Tirato come un telo sui fili ad asciugare
quando ne uscivo dopo viaggiato
stanco e pago, il cuore quasi fuori dal petto
verso il sonno.

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UN COLPO SOLO

Il seno liberato che hai bianco, è qui volato
sul palmo della mia gemmazione.
E io lo tengo
come la rete regge le rose. Come stelo
io fossi del bocciolo più esposto
il più agognato.
Il seno che, ribaldo, mi punta
può ferire
uccidere sul labbro l’amante bisognoso.
Ma più del miele vince in dolcezza, e la faccenda
sta tutta in quel socchiudere gli occhi
ed inarcare, la schiena come fosse di giunco.
Ora sobbalzi, e scocchi la tua mandorla scura
come un dardo
sotto le nari, bocca protesa. Un colpo solo.

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IL PRIMO SEME

Lo so, bisogna viverci ancora, lo so bene.
Con questa ingenuità fatta polvere
e i capelli, più bianchi della neve sporcata.
Altri cent’anni
tirati da ogni lato come la fionda amica
velocità di gambe e poi baci.
Farci tutto
perseverando in corpo l’affetto, e tenerezze
sottili come il ghiaccio ai catini nel cortile.
Restando dentro qui, un letto d’ombra
a stropicciare
le valvole del seno con nocche verderame.
Noi e questa età perfettissima
noi terra
eterni adolescenti col primo seme in mano.

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