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Archive for dicembre 2023

BUONI PROPOSITI

Se ridi forte la gioia scappa via

prende spavento.

Bisogna berla un po’ moderati

come l’acqua, che messa al comodino

la notte viene buona. Bisogna che le cose

si tocchino gentili, un po’ come il faccino

tuo bello di morosa. Sciuparlo e poi

portarlo su a casa come niente:

ben intesi, il lucido di mele

alle guance, poco smorto

per non dare nell’occhio a tua madre.

Si, più piano, voglio girarmi in bocca

anche l’aria d’anno nuovo;

quel gusto della neve mancata

e della luce, che arriva tra le sette e le otto.

Qui, seduto, il mio biglietto di prima classe

a sventolare.

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Il futuro

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LA BELLEZZA

La smagliatura parte

e vien su dalla caviglia;

avresti detto – portami sopra

tempo fa – che mi vergogno

a far la figura. E tu mi spogli

ma dolce, come l’acqua e lo zucchero

d’estate, quando mi gira la testa

e mi sei cuore

con la sapienza più elementare

con amore.

Se tiro questo filo

sei bianca come il mare

quello che batte la testa sugli scogli

e mangia via la sabbia

gran parte dell’inverno.

Si sente la tua vena che sporge

e sembra pianta, radice fitta

qui, da un millennio. E anche il caldo

delle tue pulsazioni tremende.

Hai il cuore a pezzi

e non son stato io a farlo tale

anche se impegno, ne ho messo mica male

ho la fantasia veloce.

Se tiro il filo vanno a ramengo

le tue calze, botteghe che dicevano il falso

e anche le scarpe, che mettono dolore

a portarle lungo tempo.

È come una frattura continentale

e breve, si vede il nudo muscolo

la donna minimale, la trasparenza

tua di delusa, la bellezza

che si fa via la polvere d’osso

e poi ne ride.

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IL PRANZO DI NATALE

Le dita troppo grandi sul calice del vino

che quasi l’oscurava a guardarlo.

Di buon’ora

solevano chiamare gli amici di soldato

un breve cenno all’età ogni volta aggiunta;

secondi limitati, come costasse un mondo

dar prova d’esser vivi senza malanni gravi.

Alzavano la voce perché molto lontani

ragazzi d’altri tempi coi film americani.

John Wayne in bianco e nero

lo danno il pomeriggio; passami il piatto d’olive

e una fettina, di quello macellato da zio

nella campagna.

Magari sarà l’ultimo, meglio trattarci bene.

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E’ quello che si tenta venendo per la strada

la borsa nella mano dell’ultima spesata

il colpo non esploso al nemico, il bacio in fronte

quando la bocca è piena di vento, e di parole

di gioventù venuta a mancare.

Come alianti, poggiati l’uno all’altra

imitando queste foglie, la loro sete un po’ d’armonia

di terra rasa.

Le braccia a immaginarsele pesci, fluide, prese

attorno al corpo come suture, bende amiche

per questa gelosia dei felici, sempre attenti

ad ordinare il mondo negli occhi.

Come spume, esagitate in invocazione

onde più alte, nel correrci a chiamare per cena:

il pasto breve, del sesso in ablazione matura.

L’infinito

dell’attimo in cui siamo scoperti, verso Dio.

*da un verso di Pierluigi Cappello.

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IMBARCHIAMO ACQUA

Beati quelli nati in un’epoca di grassa

che non gli manca niente

e si mettono a scartare, il filo bianco

e il pane più duro. Beati loro

non hanno conosciuto la terra dell’esilio

le pietre rosse come patate. Si, beati

non sanno il freddo becco le quattro di mattina

di fuori da un cantiere a elemosinare ore

i neon sopra la testa dei torni; mai dormito

là dove neanche i cani starebbero sdraiati.

Beati, che la guerra è notizia surreale

qualcosa visto al Cine, e poi si torna a casa.

Beati i fortunati a morire in letti buoni

le mani nelle mani delle persone amate

sgranato un po’ il rosario la sera

e fuori piove, con gli alberi più vecchi

che sembrano fantasmi.

Beati i vostri libri di scuola immacolati

il gesso da far via dalle dita, beate madri

che tolgono dal naso quel sangue di paura

le botte di azzuffate innocenti

in mezzo ai prati.

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LIVIDO E SCINTILLA

Necessito la quiete, la specula dell’erba.

Quando stagione lo chiede e pare dorma

come sul fondo le pietre millenarie

levigatura del tutto, storia tonda.

Necessito fermarmi alla posta dei miei vecchi

sentire il carro pieno di fieno scricchiolare

il vino che matura in cantine buie

e il cane, vivace in sentimento e vigore.

Ho gli anni giusti

radi capelli ricordano il ragazzo, le mani

pronte al gioco di carte ed all’amore

l’intesa dell’umana empatia.

M’è necessaria, la luce e l’acqua cheta

delle fontane bianche;

il pioppo, l’oleandro, l’alloro e il gelsomino.

M’è necessario il coraggio dei nativi

quel farsi fiume d’altro passaggio

un rituale, il canto che accompagna

la musica del corpo. Ora fragile e maestoso

ora livido e scintilla.

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SEI BAMBINA

Cambiamo l’aria alle stanze

con premura, di avere bene prima

poggiate alla ringhiera

lenzuola piene in notte e capelli.

Oltre la cinta, rincorrono i bambini

le immaginarie fate, toccando le altalene

con mani più innocenti;

la pelle ancora vergine calzata tra le dita

il rosa delle rose, quelle di maggio schiuse.

La vista è un poco torbida ora, ma la gola

ancora profferisce le rime dell’amore

te l’ho sentita il giorno che nacque Alice, cara:

Vent’anni credo il titolo, o L’erba di mia casa.

Cambiamo l’aria, dai, che n’abbiano a sentire

le donne su per tutta la via, quello che passa

e tasta sul cancello l’umidità e il rumore

degli alberi in veleggio perfetto.

Canta ancora, puleggia anche la Singer

stamani, sei bambina.

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ALVEARE

OMAGGIO A MARIANGELA GUALTIERI

Mi piace il dito intriso del miele.

Chiedere all’ape la grazia naturale

la parsimonia e l’ingegno.

Ne amo il cuore, colore

e mareggiata al palato. Amo il lavoro

la società complessa che erige

a sua difesa. Amo le opere piccole

di Dio, l’infinità perfezione, la livrea

muscolo in oro e alabastro. Le amo bere

da questa d’osso ciottola chiara

o in pozze brevi, dal lascito distratto

d’una fontana in piazza.

Amo l’essenza più dolce dell’amore

la semina per tutta la lingua

e quel fiorire, che fanno le parole

dopo stagionatura.

Amo l’età mia balorda, perché vedo

e sento e percepisco la sommità

e la strada, e il divenire leggero

amante il volo, lo sciogliersi

di mille paure, il bacio intenso.

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