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Archive for febbraio 2020

IN THE CIRCLE GAME

Voi mi credete?
Ho riso con un frate
seguito fino in fondo alla vigna il volo azzurro
di diecimila rondini basse.
Era d’estate
nel tempo in cui morire era un verbo sconosciuto
e fuori dalle scuole ci si rubava il pane.
O forse maggio
perché v’era la luce impetuosa dei torrenti
ed ogni cosa chiara appariva;
un altro me
toccato sulle spalle per prendermi tuo sposo.
Oppure inverno
turbato nel rumore dal nettare del cielo.
Perché ricordo il cibo di neve a mano aperta
l’offerta per guardarti la bocca
e le ombre lunghe
di noi tornati a casa a prometterci il futuro.
Ma forse era un ottobre inoltrato
un’osteria, il lume di alternanza di un treno
un mio cerino. Quanto bastava a prenderti intera
alla mia vista, e ricordarti poi a notte fonda.
Certo, ho riso, e capita talvolta di farlo a bocca piena
come il bambino pigro e innocente
là lasciato.

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L’UOMO SULLA LUNA

Se un giorno ti chiedessi di sciogliere il grembiule
sarà per visitare l’Oceano, e mezza Terra.
Per coltivare qui, alle narici, orzo e fiori
e avere il tuo cortile negli occhi
con la sabbia, la fonte e il suo rumore di acqua;
i bei lamenti, che i giovani si danno la notte.
Forse oggi, perché ho diamanti al posto dei piedi
e sto pulito, come le mani dopo il lavoro
come il bacio, che trenta e più chilometri dopo
è ancora caldo.
Certo, oggi. Perché se l’uomo è andato alla luna
ce l’ho in casa
e voglio camminarci come le foglie ai prati
fermandomi tra l’erba dei seni, e respirare.

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DORMI ANCORA

Rigiro lentamente il sapore nel palato.
L’ultimo innesto di labbra è stato ieri
istinto del piegarsi in avanti, per poi dire
che la disperazione si assolve a darsi tutto.
Così, in assenza piena di luna, succhio il buio
come quel seno tuo liberato a prima volta
senz’occhio per saper dove andare, ma sicuro
come la mano d’un bimbo sta nel padre
e quella di una sposa nei fiori di premura.
Rigiro lentamente il sapore nel palato
Caffè e Torrefazioni stan su di peso morto
il pane avrà di certo una sporta, noi la strada
coi suoi profumi a farci stagione
e un po’ di mare. Portato di nascosto
le volte che ci andammo.
Le volte che mangiare del vento ci bastava
e la poesia era roba degli altri.
Dormi ancora.

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IL CANTO DELLE BALENE

Quando la vita mi gioca qualche scherzo
ripenso alle stazioni d’oceano là di fuori;
a tutti gli annegati che credono in un Dio
al sole destinato a fallire.
E allora rido, ma è un gioco d’isteria
bocca larga, dura poco.
Così mi trovo a fare molliche con il pane.
Sull’orlo del bicchiere poi scivolo la mano
e viene il canto delle balene, il loro eco
che fora l’acqua fino agli estremi
fino ai poli.
Ti chiamerò tra poco con pari devozione
appena viene il giorno dai monti sul confine.
E poi daremo voce alle nuvole, ai rondoni
finiti chissà dove; come le api, e i giorni
in cui ci sembrava tutto perfetto.
Sbagliavamo.

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