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Archive for marzo 2023

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LE MANI

Questo disfare d’anemoni e presagi

riempite ora le mani di foglie del mio ieri.

Non ti regalo che piaghe e linee dure

un tempo due colombe le avresti dette, amore.

Ma è al fondo della terra che cerco le radici

perché volare alto è questione d’altri cuori

di becchi e di pagliuzze portate con dovere.

E mi ritrovo, infine, come nei giochi estivi

correndo solo un poco di lato, sì che

presto, tu possa poi toccarmi

e usarmi una premura. Sai, solo questo

per me dà un senso a vita:

sentirmi una tua costola giovane, un veliero

che porta te la notte lontana dalla casa

da questo letto sfatto di aria e d’acqua scura.

Così canto il bisogno stamani

a poca erba, pensando le mie dita

spettacolari fiori; sentendo questa brina

lasciare la paura, il brivido del sole non sorto

là a venire.

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Caro il mio ciliegio, grazie

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SCRIVERE

Ogni mattina io affondo nell’eterno

mi bevo la storiella

che Dio ha creato il mondo,

il vento malandrino

che spezza collo e mani.

Ogni mattina il mio bavero è di paglia

e nudo più del grano raccolto

accendo un cero;

per questa umanità che ha scordato

del volare, fin anche la sua immaginazione.

E allora pensa,

sfregando quel birillo di zolfo,

a me, già altrove;

illuminato solo da ciò che, da me nato

non teme più lo zefiro

né i bardi del maestrale.

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VENTO

Vento di resa

mi mangi il cuore nano;

quello cresciuto a bottega

e alla campagna.

Quello che latra alla luna

quando ho fame, e smania

di procedere in te, assoluto amore.

Vento di sasso e di gerla

mio fantasma;

tu che dal labbro invisibile sorridi

e mordi con protervia capace.

Tu, mio soldo

col quale compro un litro di latte

e di fortuna.

Tu che modelli il mio capo da scultore

che drizzi sopra i seni suoi, mandorle

e buon’uva. Vento di canne di lago

d’erba Spagna, sorpresa

e sortilegio gettato a questo mondo

dall’alito venuto più adulto

giù dai monti, da oceani

le cui bionde carezze sono donna.

Tu vento dal mutevole afflato

porta via, insieme a questi anni

febbrili e stropicciati

quel che mi nuoce, ora, della malinconia.

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IN MEMORIA

Mio padre è nato vecchio.

Almeno io così lo ricordo, certe volte

che un male per la gamba

mi prende a stesso modo.

Mi son chinato ieri per terra

a frantumarla, a mettere del seme più giallo:

un bel domani. E ora pago pieno

il tributo alle mie ossa

a questa vanità petto nudo

e te davanti, là dietro la tendina

lavati i tuoi capelli.

Mio padre si sedeva nell’orto delle ore

pareva gli venissero i diavoli a giocare

 a mischiare le sue carte da briscola

e a parlare, di tutte quelle volte

che mandò giù in silenzio;

le umiliazioni avanti al padrone

o dal dottore, quando portava me piccolo

malato, colpevole di poca istruzione.

Si, già vecchio

io lo ricordo così, certe mattine

che di compiere gli anni

non gli importava niente.

Ciao pà, sarebbero stati 91 oggi.

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ASPETTO LE CILIEGIE

Aspetto le ciliegie

come i tuoi baci al Cine:

la bocca piccolina e confusa a poca luce

la polpa sbarazzina che eluderla

era gioco. La stessa fioritura

pur breve, straordinaria

frammista agli orecchini di giada

e a quelle perle, dei denti quasi acerbi

compiuti con il grano.

Aspetto le ciliegie

con gli occhi della neve

la fronte a dar possibile pioggia

e il naso fino, che sa la primavera

lontana due fermate.

Aspetto di vederle

poggiate alle tue orecchie

sul moro dei capezzoli, nude

e te felice, il riso più sincero

dovuto a età balorda. A un corpo

che par prendere già strade a noi straniere.

Aspetto ancora il perderci insieme

e non tornare.

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VOI, VI CREDETE ETERNI?

Riporto all’attenzione del mondo quel bambino:

la mela s’è seccata, morsa soltanto un poco.

Il gambaletto ha righe di fango, niente spighe

là dove l’acqua promette brevi soste

e crolli di miniere, di calcinacci e ferro.

Rimetto alla clemenza di Dio la bestia d’uomo

i suoi confini e il sangue di terra, i muri d’aria.

Rimetto alla coscienza di ognuno di lottare

perché noi siamo uguali, spuntati sopra l’erba:

lo stesso fiore ci ha generato, in meraviglia

tra due lenzuola in seta o la paglia di una stalla.

Voi che onorate la vita a gran parole

che giudicate sacro soltanto ciò che aggrada

che tace e non disturba, con le sue scarpe rotte

con quelle mani sporche che chiedono tre soldi.

Voi che spartite il mondo, voi

vi credete eterni?

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