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Archive for settembre 2023

FRUTTO ACERBO

Tu, ma lo sai che cos’è la libertà?

L’hai mai veduta, toccata.

Ha qualche odore?

Io credo d’esser stato vicino

appena un dito,

dal culo suo più bianco di un giglio.

Ero bambino, e scalzo razzolavo i cortili.

Sul coppino, lo sporco ed il sudore

di qualche mietitura;

in fronte i denti d’oro del sole.

Tieni a mente,

quando ti sembra che i soldi siano tutto

e sulle spiagge in capo del mondo

fai dei passi, la mano in una lei

che più tardi avrai nel letto. Ricorda

quando niente importava più del cane

del fosso e del respiro del vento.

Avevi niente

soltanto l’armatura di gioventù beata

il nudo che l’avorio invidiava

un frutto acerbo.

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VOI SIETE QUI

S’è quasi consumato il bel nome

è tutto crosta, e scheggia rovinata

dal tempo e dalla pioggia.

Io cerco la mia casa natia, un luogo sacro

la patria dei miei cuccioli riconosciuta

e intatta. Fatico, perché il cielo

ha tracimato e roso, sommerso

ogni steccato e confine immaginato.

E il luogo più preposto

da scrivere è nel cuore, è quello

dove ho amato svuotandomi del buio.

E dove, divenuto poi acqua, ti ho bevuta

sottratta alle delizie di morte.

Eccomi allora, sono un uccello

che vede lungo il passo, e gli aliti del vento

che viaggia sempre nudo.

Nessun paese ha sassi di luna

un sangue all’erta; tra gli argini più fragili

e inutili, io volo, portando in becco

un riso giulivo. Apri le imposte:

rasente le tue mura, saluterò il bel giorno

innamorato, come lo sono, dell’amore.

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ORIGINE

Mi piace il ragazzino giù ai fossi che rideva

felice per la pioggia nei campi

e le patate. Felice come solo chi è puro.

No, non serve

 io dico – di migliori poesie n’è pieno il mondo;

un’altra cantilena per far dormire i vecchi?

Vanno già via di loro, e sognano la pace

la pace delle ossa, lo stomaco riempito.

E sognano la guerra finita, e i figli a scuola

e certi matrimoni coi balli tutta notte.

Io dico che mi mangio un bel pane con il burro

e lo divido ancora con Carmen, se la vedo.

Ci siederemo là, alle cassette della frutta.

Non scriverò più niente, fino alla vita dopo;

perché sarò impegnato a baciarla

tutto il tempo.

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SEGNALIBRO

Se guardi bene

è rimasto un poco d’erba

un’ombra rarefatta di terra,

un graffio appena,

su questo mio ginocchio

intrapreso a far preghiera.

Vorrei tu lo toccassi

come si sfiora un melo

la schiena della gatta

il tuo seno sotto il raso.

Ritorneremmo, forse

con lo scambiarci il nome

lo sguardo, tra il curioso e il lascivo

innamorati. Il lato meglio impresso

sulla fotografia: la luce

come fine di marzo

più sottili, di un piccolo trifoglio

alla pagina sessanta.

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OGGI FA ACQUA

Oggi fa acqua, non c’è nessuno in giro.

Per strada sembra pigra anche l’aria

e giù al mercato, son quattro bancarelle

un po’ tristi. Starò a casa, e guarderò

dal vetro il versante occidentale.

C’è qualche aereo basso, starà per atterrare

che qui vicino è un grande aeroporto

e anche se piove, si danno dei consigli via radio.

Non si ferma, il mondo degli affari e dei viaggi

ma dovrebbe, i campi sono lì fatti apposta

per la vista. L’odore delle foglie bagnate, poi

pensate: non ci saremo più e qui sarà tutto uguale

certo, case, negozi e costruzioni

potranno un po’ cambiare, ma il sangue della terra

non si fermerà mica.

Neanche quella voglia che c’hanno poi i ragazzi

di attendere la bella che ha messo su il rossetto.

Son cose che con gli anni si affinano soltanto

ma il sentimento, quello, è per sempre.

Oggi fa acqua.

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CI BATTE FORTE IL CUORE

Un cane con la lingua violacea

questo vedo, nell’acqua che rabbiosa

cancella pietre e tempo.

Di là dalla ringhiera

son piante grasse a sciami

camicie appese senza lavoro

e una vecchietta, che dice

  • siamo giovani – perché sui nostri piedi.

Lei ama la pagliuzza che spunta alla seduta

schienale bello alto, come orizzonte

il mare, e un muro di calcina

ogni anno azzurro nuovo.

Lei ama le sue piante: ché tacciono

e fan spine, e latte di budello

nei giorni di peccato.

Nel terrapieno ha un gatto sepolto,

niente uomo,

le sembra d’esser stata qui sola da millenni.

Il cane ora diventa quest’agonia di lupo

catena fatta in schiuma e poi sperma.

Tutti i pesci, stanotte han partorito

una pletora di alghe, di posidonia

fitta e filante. Un buon odore

rilasciano gli amplessi,

ci batte forte il cuore.

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MI ALZO PER SVUOTARE LE STELLE

Le cronistorie trasudano la notte:

da tempo colleziono almeno tre o quattro veglie

come i sogni.

Mi alzo per svuotare le stelle

perché ho fame, e sete delle cosce tue brune;

con le vene, le cicatrici fonde di tutti gli ospedali.

Mi alzo ma poi perdo le forze, e m’è più dolce

abbandonarmi come un soldato al primo sparo.

Potresti ricoprirmi di baci e non svegliarmi

potresti ricordarmi Moneglia, Sestri, il mare

il solo, il più innocente, nel tempo giovanile:

gli anelli erano freschi di festa, due fedeli

partiti per la gloria dei corpi, ed invecchiati

per troppi temporali improvvisi. Ecco,

è giorno, lo sento dalle vespe nel sottotetto

e i diesel, lontani almeno quanto New York;

altro da me, che annego in queste poche parole

d’acqua santa.

La direzione è quella dei seni, della schiena

non so che celebrare il tuo corpo

ora e allora.

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BISOGNA CHE IL MOMENTO SIA GIUSTO

Ricorda la mia fila di vasi

dai dell’acqua, e sguardi

come fossero amici.

Se vuoi parla

ma non nei giorni dello scirocco

e neanche pioggia.

Bisogna che il momento sia giusto

e avere storie, di qualche caro

o anche di sé, purché serene:

non amano i tuoi lutti,

né i piagnistei d’amore.

Conoscono a memoria la coda della gatta

quando ci passa per ore,

e sembra seta;

comprendono la voce di chi gli vuole bene.

Perciò non fare finta di niente

e datti un taglio

trova del tempo di vivere ché conta

e ricordati anche me, dammi acqua

e compagnia.

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