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Archive for novembre 2014

NOVEMBER BLUES NUMERO UNO

Sul muro fresco bianco a calcina
il mio falcetto,
pericolosa la vita in me, matura.
Pericolosa la vita perché l’amo
come le distruzioni dei vecchi
e dei quartieri.
Come le asperità delle vigne, su in collina
tra cementati fiumi e conventi
al sole basso, quel pomo che fiorisce ogni giorno
un po’ diverso
e tanto mi ricorda le gote di un bambino
quando l’ingenuità lo colora
e tutto è mondo, è Salgari
e viaggiare alla luna misteriosa.
Pericolosa in me
vita morde e succhia piano
mi tiene sveglio quando dovrei svanire ai sogni;
e correre per prendere il treno che va via
o limonarti come una volta negli androni.
Pericolosa e piena di agosto, gli anni indietro
di canottiere ormai fatte a pezzi
e sigarette, rimesse nell’armadio per amor proprio e fine.
Pericolosa come un tragitto senza mani
sulla mia bici sotto al balcone di una bella
che usciva solo prima di sera
e non guardava
gettava qualche foglia seccata di geranio
e sospirava come a un idiota.
Io l’amavo.

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RELAX

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AVERNE SI DEL TEMPO

Averne, si, del tempo
per cose smisurate
per i rumori a fondo di strada
ed il mercato;
per l’animo selvatico che c’hanno le Osterie
e le ragazze a spasso col cane.
Averne ancora
per fare due o tre tiri di sigaro e imparare
cos’è che fa felice la bocca per davvero.
Per riesumare piccoli e semplici dettagli:
mollette ai pantaloni nel pedalare forte
foulard alla maniera dei ricchi,
uscire insieme
appuntamento dopo le tre, col sole in fronte
alla panca rastremata di pioggia e sfinimento.
Averne, si, del tempo
per annusarti ancora
sentite tutti quanti gli umori che hai incontrato;
gli sguardi un po’ lascivi
e quelli senza un fine.
Il miele degli abeti nel viale che hai percorso
il vento tra i capelli che hai conservato
e il mare, di quando piccolina ci andavi
averne, ancora.

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LE CAVIGLIE

Sovente, camminandoti dietro
giù io vado
alle caviglie di malattia, gonfiate, azzurre.
L’agilità non hanno perduto, né il vigore
il collo è precipizio tra i tacchi
il neo l’infiora.
E allora ripercorro le prime notti al mare
quel consolare senza fatica i fusi d’oro
provati dalla sabbia e dal sale.
Li asciugavo
col vento della bocca nostrana
e dopo i baci, poggiavo sulle spalle
quel che ne rimaneva.
Ora mi stride
malinconia del tango mancato
del selciato, sul quale ti pericoli, a volte, con diniego
di una bellezza fattasi semplice
sincera.

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GERMOGLIO

M’abbandonai giù da un fienile pieno
le braccia aperte come del Cristo;
sul frumento, sull’erba disseccata nel carro.
Ad occhi chiusi
così, come si vola d’uccello e si consola
quel lupo esagitato che cresce nei ragazzi
in quelli sempre in cerca d’amore.
Pochi istanti
di vuoto immisurabile a cose, venni grande
come le stelle in cielo d’agosto
le migliori
le destinate ai libri di scuola, ai desideri
ai nasi delle donne che piangono
alle bocche, dei mille e più affamati poeti.
Là, da solo, sepolto nell’immenso giardino di pianura
le labbra scorticate dal tanto aver taciuto
il vizio che di te avevo preso
mia delizia, mia vita rompighiaccio e stamberga
mia preziosa.
E vidi in me le rondini acerbe, le furbizie
con cui si costruivano il nido, le fessure
e vidi poi le nottole brune, il fosso amico
ripopolarsi a lumi notturni, d’acque chiare
corrotte solo dalle libellule, dai gigli
perduti da una Lei che passava.
E vidi il giorno
il rapido svanire di belve e di rugiade
il fuoco farsi largo nel cielo.
E andai per prati,
verso colei che già che mi credeva tra i perduti.

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MOLESKINE

Far parte dei segreti suoi belli è un gran cosa
mi rende meno triste, il cuore più intrigato.
Resuscitato a versi d’amore, qualche piaga
buttata giù qua e là per non dare l’impressione
di vivere in un mondo celeste, innaturale.
Far parte del breviario segreto di una donna
ti fa affiorare il nervo d’artista
godi e strilli, t’illumini a uno spicchio di luna
ed ogni mostro, diventa carovana di buoi
campane a vivo, un prato dove ieri un tendone s’è tirato
con dentro il circo acrobata nudo
il giocoliere
la bella col costume attillato.
Si, fa bene, ti senti meno idiota a concludere la vita
e non fa nulla il mezzo svanire della luce
dei suoni e dei sapori di un tempo.
Non fa nulla.

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CREPUSCOLO

Quando ti prende, dopo mangiato, il sonno
tu t’abbandoni come nell’acqua da ragazzo
leggero, solo un fascio di nervi
un pesce azzurro.
Evapori sui vetri dei sogni e scrivi il giusto
poema con il dito goloso
bocca aperta. La voglia più frenetica, ora
d’aria pura
dove spezzare vita come a un banchetto il pane.
E quando poi ti desta un rumore, uno dei tanti
ti vedo lo stupore dei nascituri ancora
un delicato alone di gioia dentro gli occhi.
Felicità di essere al mondo, e di insultarlo
quasi rubando l’ombra della sottana in terra
credendola la stessa degli anni del vigore
del seme naturale per costruire un uomo.

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CHAGALL

C’è una voglia sfacciata questa sera
tra il rosso foglia
e il mi manca il fiato, amore.
È quella della tenda tirata malamente
che tutto poi si vede, e ci resto delle ore.
È quella del passare col treno
e là c’è una
che ti saluta e manda dei baci.
E tu l’hai presa
al volo, in quell’istante preciso. E l’hai portata
tra il tetto e le mammelle di luna
e l’hai toccata; la luna, ma anche lei
ed era facile da amare.
Ho una sfacciata voglia di fare il ponte vecchio
di metterci minuti di più a tornare a casa;
perché ho qui dentro il mare che mi racconta cose
e il freddo sulle guance
ricorda me, bambino.

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MEZZOGIORNO

Il culmine di mia gioventù è stato un mattino
che sporta con un solo lenzuolo
per la via, guardavi le movenze del piovere
serena
contenta in quasi tutta la pelle.
E quando, ancora, rientrata per il freddo capiente
l’hai intonata
quella canzone tanto più semplice, ma bella
che per la casa tutta veniva una ghirlanda
un avido profumo di mele e di bagnato.
Il meglio deve ancora venire, mi dicevi
senza più orli, nuda, impigliata all’aria fresca.
Uscita come dal ventiquattro alla fermata
in via dell’Umanesimo
la bocca dritta al sole, le labbra come un mio medagliere
un frutto in mano.

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MAXOPhONE

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